Una piovosa sera di fine gennaio, fredda e buia, nella periferia nord della città, in quell'area di viale Giostra dove le azioni di risanamento stanno provando a regalare un futuro diverso ad una comunità che fatica enormemente a scrollarsi di dosso l'etichetta di ghetto, storicamente e irresolubilmente “infiltrato”. Non solo dalla malavita vera e propria, ma dall'approccio borderline, tra indifferenza e obliquità, grazie al quale quella attecchisce e prolifera ampiamente, in un substrato sociale che così, di generazione in generazione, rischia di non sapersi redimere mai.
È l'ora degli ultimi acquisti, della chiusura dei negozi e una coppia di anziani si affretta a concludere prima che tutte le luci si spengano e che l'oscurità alimenti il pericolo di fare brutti incontri. È la sensazione che ormai – complici le cronache sempre più inquietanti – si prova ovunque, tra periferia e centro non c'è molta differenza, ma l'etichetta atavica del rione “pesa” di più. Con i sacchetti della spesa in mano, quindi, la coppia si avvicina all'auto parcheggiata poco lontano, e scorge le sagome alte di due giovani, nerissime nel buio della sera. I cappucci alzati sembrano subito minacciosi, e lasciano presagire qualcosa di spiacevole, mentre i due sembrano armeggiare vicino alla portiera. Scorgono i due coniugi, che nel frattempo si sono avvicinati lentamente, e vanno loro incontro, ancora più sfumati e incombenti nella notte, per il colore della pelle e i capelli, scurissimi.
I due pensionati si sentono sempre più indifesi, ora sono effettivamente impauriti, e già pensano a chi poter chiamare in soccorso, quando uno dei due giovani porge un piccolo oggetto dicendo qualcosa in un italiano un po’ stentato. Pensano addirittura che voglia loro vendere qualcosa, quando la signora lo riconosce: è il suo portafogli, che le era scivolato a terra mentre scendeva dall'auto. I due ragazzi avevano visto la scena e atteso per oltre mezz'ora, per di più sotto una pioggerella insistente, che i due tornassero, per restituirlo, senza nemmeno averlo aperto, senza lasciarsi non solo tentare, ma nemmeno incuriosire da quel borsellino costoso e certamente contenente denaro, carte di credito, documenti e chissà cos'altro di appetibile. La priorità era interrompere le proprie cose, fermarsi, aspettare il ritorno dei due sconosciuti, con il solo scopo di agire correttamente: restituire un oggetto perduto, per di più così importante, a persone mai viste prima.
I coniugi si guardano, provano sollievo, ma anche rimorso per ciò che di brutto hanno pensato, e fanno fatica a credere a ciò che sta succedendo, stupiti da un gesto così straordinario, nella sua normalità. Lo sarebbe comunque, ma ancor più da parte di due persone che certamente spinte dal bisogno avrebbero potuto beneficiare illecitamente della situazione, e che invece hanno semplicemente, spontaneamente, fatto la cosa giusta, frutto di valori e imperativi morali che sono uguali ovunque. Anche, evidentemente, nella loro terra: il Gambia, lontanissimo e povero lembo dell'Africa occidentale, come spiegano ai due sorpresi interlocutori incespicando un po’ nelle parole, e ricevendo una ricompensa, piccolissima di fronte ad un gesto così grande.
Due giovani immigrati che ogni giorno, certamente, in una fetta di città già “reietta” di suo, si scontrano, di notte e ancor più alla luce del sole, con diffidenza, discriminazioni, distanze, pregiudizi tendenzialmente fondati sul nulla, anzi alimentati anche da un linguaggio d'odio selvaggiamente scatenato, specie sul web, e da narrazioni politiche polarizzanti e sempre più gravemente divisive. Sulla scena nazionale e, da ultimo, non senza sconcerto, anche su quella internazionale.
L'etnia – come ammonisce la nostra Costituzione con una parola insanguinata, qual è “razza” – non dovrebbe rilevare mai, perché l'umanità non ha colore, invece continua a fare la differenza, in un tempo in cui la diversità (anche quella geografica, e anche all'interno della stessa nazione, tra Nord e Sud), diventa pregiudizio, discriminazione, e quindi esclusione sociale. Un tema che, specie in giorni come quelli che viviamo, diventa prioritario, e va veicolato con l'esempio più che con le parole, soprattutto ai più giovani.
Ed è significativamente rinfrancante quando accade il contrario: quando la “lezione” arriva da loro. Nei giorni scorsi, un ragazzino di prima media dell'Istituto comprensivo “Pascoli Crispi”, Sehas, immigrato con la famiglia dallo Sri Lanka, ha trovato anche lui un borsellino per terra, girando casa per casa sempre nella zona di viale Giostra fino a rintracciarne la proprietaria, e facendosi aiutare poi dal compagno Diego per scrivere in buon italiano la storia, con tanto di premio scolastico, e inviarla alla Gazzetta del Sud, per l'inserto “Noi Magazine”.
C'è speranza, dunque, e alberga proprio tra i banchi, con tutti i colori dell'arcobaleno.
La storia di Sehas sull'inserto Noi Magazine
Ed ecco l'episodio raccontato dallo stesso protagonista sulle pagine dell'inserto Noi Magazine:
"Ciao a tutti! Mi chiamo Sehas ed ho 11 anni, sono nato in SriLanka e sono venuto a Messina quando avevo sei anni. Frequento l’Istituto Pascoli Crispi dove sono arrivato quest’anno e sono stato accolto con gioia ed affetto. Qualche settimana fa mentre giocavo davanti casa sul Viale Giostra ho trovato a terra un portafogli. L’ho raccolto e dentro c’erano tanti soldi… ma proprio tanti! Subito ho pensato che il proprietario fosse preoccupato ed era vero! Mi sono messo subito alla ricerca ma non è stato facile perché l’indirizzo sulla carta d’identità era sbagliato. Il proprietario del portafogli aveva cambiato indirizzo… così ho trascorso tutto il pomeriggio a domandare vicino casa se qualcuno conoscesse la persona in questione. Alla fine ce l’ho fatta grazie ad un signore che ho incontrato per strada e che, per fortuna, lavora al Comune di Messina.
Finalmente ho rintracciato la signora Maria, la proprietaria del portafogli, che per ringraziarmi ha voluto regalarmi una ricompensa.
Ho imparato una lezione di vita molto importante comprendendo che è giusto aiutare il prossimo e non pensare solo a se stessi. Sono tornato a casa felice di quel gesto fatto nei confronti di una persona che non conoscevo.
Ma le sorprese non erano finite! L’11 gennaio scorso, durante l’Open Day della mia scuola, la preside Giusy De Luca mi ha chiamato e sono stato premiato con un Certificato di Lealtà ed una piccola borsa di studio.
Il mio compagno Diego ed i miei professori mi hanno aiutato a scrivere bene questo articolo perché ho ancora qualche problema con la lingua italiana….
Grazie a tutti!!!!"
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