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Il carabiniere messinese Rosario Calarco, la gioia per aver salvato una vita

«In quel momento ho fatto capire che non c'era un uomo in divisa ma una persona di famiglia, con la sensibilità di un genitore». Il tormento interiore le era sembrato una montagna insormontabile, ma una voce rassicurante, quella del luogotenente Rosario Calarco, della centrale operativa di Milano, originario di San Michele, ha fatto sì che questa vicenda avesse un lieto fine. Ed ecco i fatti. Il teatro della storia è la banchina della metropolitana di Porta Garibaldi. Tra il frastuono e la routine vorticosa una quattordicenne chiama il 112 e agitata, nel dialogo con l'operatore, rivela che vuole mettere la parola fine alla sua giovane vita. Il carabiniere, però, con pazienza le parla, rassicurandola, per 8 lunghissimi minuti. Che sono sembrati infiniti. Anche se di fatto tutta l'operazione considerando la grande Milano si è conclusa in pochissimo tempo.
«Ti aiuto io, ho una figlia della tua età», le ha detto. Parole che piano piano hanno scavato nel profondo attecchendo in chi, in fondo, cercava qualcuno capace di mettersi semplicemente e empaticamente in ascolto. Il militare, cinquantaduenne, precisa che il suo è stato un gesto normale. Che fa, comunque, inarcare un sorriso non solo all'Italia che in questo momento sta rivivendo gli attimi fatidici. Cristallizzati ormai nella cronaca nazionale.
«Ogni giorno – racconta il carabiniere alla Gazzetta del Sud – arrivano migliaia di chiamate che segnalano situazioni semplici, come liti condominiali e più complesse: aggressioni, risse e ancora rapine a mano armata. Noi come operatori siamo formati per fronteggiare le richieste del cittadino. Questa volta però dall'altra parte della cornetta c'era una ragazzina e l'attenzione era massima perché sono papà, ho due figlie femmine, e capisco prima di tutto da padre. Ed è impossibile non fare riferimento alla storia personale e a quel vissuto che ti porti appresso». Il lavoro di squadra, però, è stato fondamentale per agire bene e prontamente. «Non ero solo. Bisogna precisare. Io – continua – sono rimasto al telefono con la giovane, ma vicino a me c'erano altri che si davano da fare. C'era chi ha chiamato agendo di impeto la centrale operativa “security” dell'Atm per cercare di bloccare i treni e dall'altra parte altri colleghi erano in contatto radio con le pattuglie affinché individuassero quelle più vicine e mandarle il prima possibile. Altri angeli in divisa». La vittoria più grande? Il sapere che una madre alla fine è andata incontro alla figlia: «Il peso che sentivo addosso – ricorda – è svanito già nel momento in cui ho saputo che la ragazza era in mano ai miei colleghi. La mamma ci ha ringraziato e chissà magari un giorno mi piacerebbe incontrare questa famiglia». Il carabiniere messinese non ama definirsi eroe. Quelli esistono dice tagliando corto e precisando il perché. «Sono tutti coloro che hanno sacrificato la loro vita». Uno fra tutti? Il generale Carlo Alberto Dalla Chiesa. Caduto per amore della legalità, che anche ha ispirato il percorso del luogotenente messinese che cerca con umiltà di fare semplicemente il proprio dovere. Una merce rara ma necessaria in questo mondo.

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