Le prime parvenze di case sorsero dopo l’arrivo dell’abate francese Ugo, Santo patrono di Novara di Sicilia, che tra il 1167 e il 1171 giunse a Badiavecchia e poi fu integrato da Bernardo di Chiaravalle all’Ordine dei monaci cistercensi per evangelizzare il territorio, anche grazie all’opera portata avanti con il suo impegno per il completamento dell’Abbazia di Santa Maria La Noara, distrutta da un’alluvione nel 1626, dove adesso vi è l’antica chiesa intitolata sempre alla Madonna. Ciò che resta di Badiavecchia è un luogo ricco di storia e tradizione, che adesso nel suo piccolo rione conta solo una ventina di abitanti (poco più i residenti), quasi tutti anziani, a cui si aggiunge un numero maggiore di persone nei rioni vicini. Un borgo incantevole ubicato a soli 3 km dal centro di Novara, immerso nel mistero della gola di contrada Vallebona. «Ogni pietra, ogni rupe parla di mistero, le tracce di celle, d’altari infranti, di cori dispersi, di archi distrutti, di quadrate pietre che furono il sostegno del vetusto cenobio, di porte e finestre ogivali, mentre più in giù, con le sue case nuove, dai tetti tutti rossi, Badiavecchia, nel silenzio, ascolta, ancora, l’eco delle campane, che davano gli annunci per la quotidiana preghiera e rivede sfilare, lungo i sentieri erbosi, i frati con il bianco saio, dopo la fatica del giorno e poi il ritorno dei contadini, tra ragli, ruggiti e belati, seguiti dalle laboriose donne sotto il peso di fascine di legna, verso il casolare in un malinconico viaggio nel tempo», è l’immagine testuale che campeggia su ogni sito e itinerario turistico che racconta di Badiavecchia e dei suoi anfratti incantati, un testo firmato dal poeta e scrittore Ugo Di Natale, rivitalizzato e ripreso, probabilmente, in un libro su storia e tradizioni novaresi a firma dell’indimenticato segretario comunale Vincenzo Cartaregia. Ciò che restano di Badiavecchia non sono solo spopolamento e migrazione, perché proprio dalla sua storia che profuma di cultura, bellezze naturali e paesaggistiche, sudore e sacrificio dei tanti abitanti, perlopiù contadini, che percorrevano i sentieri boschivi per giungere ai luoghi di lavoro, è stato costruito un impalcato destinato a tenere viva la tradizione legata a questi luoghi, su tutti l’antico mulino ad acqua, i percorsi immersi nel verde e la caratteristica conformazione. Uno sforzo che quotidianamente viene profuso dalla locale comunità cristiana guidata dal padre spirituale Mario Oliva, che con la parrocchia e alcune associazioni novaresi organizza annualmente iniziative ed eventi (la sagra della nocciola su tutte, all’inizio di ottobre). Altro progetto di rilancio è quello dell’Amministrazione Bertolami, che già da tempo possiede il programma esecutivo per la conservazione e la riqualificazione di alcune zone dismesse di Badiavecchia, dopo l’inaugurazione del centro sportivo giovanile nella vicina e popolosa frazione di San Basilio. Degna di rilevanza, anche l’opera dell’associazione “I Sciammiadi”, cospicuo nucleo di emigrati e originari dai luoghi, che da un ventennio si impegnano a proprie spese per rilanciare luoghi abbandonati di Novara e dintorni con iniziative votate alla conservazione delle tradizioni. Proprio ieri, inaugurato “Il sentiero delle querce”, primo di tanti percorsi naturalistici destinato a promuovere Badiavecchia dal punto di vista turistico e storico, visto che sullo stesso sentiero vi transitavano i contadini per il pascolo o giungere ai luoghi di lavoro, una zona immersa in una incontaminata bellezza.