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Milazzo, lo chef Davide Guidara: «Io, ai fornelli per le nozze di Diletta»

Il primo momento “sliding doors” per Davide Guidara arriva molto presto. Ha 9 anni quando entra nella cucina di mamma – un’insegnante di lettere della provincia di Benevento, sposata ad un colonnello dei carabinieri originario di Messina, cresciuto tra le case popolari di via Santa Cecilia – e le dice: «Mamma, da grande farò il cuoco». E poco più di vent'anni dopo, Davide è uno dei più promettenti chef italiani, due stelle Michelin (una rossa e una verde, per la cucina vegetale che è il suo marchio di fabbrica), chef dell'anno 2023 sempre per Michelin, tra gli under 30 selezionati nel 2024 da Forbes per la categoria arte e cultura e tra gli under 40 della gastronomia secondo Fortune. E poi, come ci dice lo stesso Davide – ormai milazzese d'adozione sia perché a Milazzo ha mosso i primi passi da chef vero e proprio, sia perché a Milazzo ha trovato l'amore di Alessandra –, adesso è anche «lo chef di Diletta Leotta».
C’era lui, infatti, ai fornelli del matrimonio dell'anno, quello tra Diletta e Loris Karius, il 22 giugno scorso, nel “regno” di Davide, il Therasia Resort a Vulcano. Ed è da lì che parte il nostro “viaggio”: «È vero che noi siamo abituati ad una clientela alto-altissimo spendente – ci spiega –, ma in questo caso si trattava di clientela vip, cambiano alcune cose. A tutto il personale, ad esempio, è stato vietato l’utilizzo del telefono, lo lasciavamo alle 9 del mattino e lo recuperavamo a mezzanotte. È stata una delle clausole inserite nel pre-contratto, totalmente diverso rispetto al contratto di qualsiasi altro matrimonio, sia dal punto di vista economico, ovviamente, che come clausole aggiuntive. La sera prima del matrimonio c’è stato il white party ed eravamo tutti vestiti di bianco, anche questo previsto da una clausola. Alcuni di noi hanno dovuto noleggiare pantaloni bianchi o scarpe bianche».

Eppure, una volta davanti ai fornelli, Davide e il suo staff non hanno avvertito una pressione diversa dal solito: «Noi abbiamo clienti che spendono anche 7 mila euro a notte, quella pressione lì la senti tutti i giorni. Per un matrimonio, in cui cucini per 100-150 persone, fai un lavoro “fotocopia”, per il singolo cliente il lavoro è sartoriale. Qui, con la struttura prenotata in esclusiva, ci si è dedicati totalmente all'evento, potendo curare meglio i dettagli. Il direttore del Therasia, Umberto Trani, all'inizio della riunione ci ha detto: “Per noi non cambia niente, questa gente rappresenta lo stesso cliente che abbiamo giornalmente”». Quello tra Diletta e Vulcano era un appuntamento “fissato”: «Diletta è un'assidua frequentatrice della struttura e ci ha scelti per questo. Lei diceva sempre al nostro direttore “se un giorno mi sposo, voglio sposarmi qui”, e così ha fatto».

Alcuni momenti sono “classici”: «La prova del menù l'hanno fatta Diletta e i suoi genitori, per la famiglia di lui, vivendo in Germania, sarebbe stato un po' più complicato. In un matrimonio di questo tipo, però, ci sono altre difficoltà, come organizzare l'ospitalità di 160 persone per tre giorni, dalle colazioni alle cene, oltre ai transfert, tra elicotteri e taxi-boat privati, e poi intolleranze, alcune estreme, qualche vizio, seppur limitato, visto il contesto. Gli sposi? Una coppia fantastica, sono stati contentissimi, Karius era più votato al divertirsi, ballare, era più spensierato, Diletta era più “siciliana” nella gestione del matrimonio, più attenta ai dettagli. È stata una festa di tre giorni, noi abbiamo fatto turni fuori dal normale». Il piatto preferito? «Su tutti i piatti abbiamo raccolto feedback positivi, ma i complimenti maggiori sono arrivati sull'antipasto: crema di mandorle di Avola, dentice cotto in olio con aromi tipici, sfilacciato e lasciato in bianco, datterino cotto nella calce ed essiccato, scalogno marinato nella soia per più di un mese, salicornia e basilico».

Da leccarsi i baffi. Il matrimonio dell’anno, per Davide, è un’altra tappa: «è stato un passo importante per la mia crescita personale e professionale, perché mi ha fatto scoprire un mercato più nazional-popolare». E di tappe, il giovanissimo chef di Cerreto Sannita, piccolo comune della provincia di Benevento, ne ha bruciate già tante. Inizia a 14 anni, lavorando nei weekend mentre si diploma col massimo dei voti all’alberghiero: «All’inizio la mia scelta non fu ben vista in famiglia, c’era del pregiudizio, ero un po’ secchioncello e avrebbero preferito che io facessi una trafila più “classica”, liceo, università e così via. Poi si sono ricreduti».

Un anno dopo era già nella cucina di Don Alfonso, due stelle Michelin a Massa Lubrense, Napoli. Inizia una serie di stage nelle cucine più prestigiose, fino a quella del Noma di Copenaghen, tre stelle, considerato il più importante ristorante al mondo, alla “corte” di chef Rene Redzepi. L’altro momento sliding doors, però, arriva a 24 anni: «Sono in vacanza a Milazzo, da mio zio Biagio, quando incontro, tramite Raffaele Esposito, gli albergatori dell’Eolian, che mi chiedono una consulenza. Mi limito a fargli capire l’importanza di gestire in autonomia il ristorante dell’hotel, invece di cederlo a qualcun altro. Loro si convincono e propongono a me di gestirlo. Sarebbe la mia prima volta da chef. Sono in procinto di iniziare uno stage a Singapore, ma è lo chef Raffaele D'Addio del Foro dei Baroni, dove lavoro in quel periodo, a convincermi ad accettare. “Hai 24 anni, se va male ha tanto tempo...”, mi dice. Accetto. E le cose vanno più che bene».

Dopo qualche anno Davide è chef al Sum di Catania, cinque stelle lusso, poi arriva il Covid e un altro spartiacque, quando cede al corteggiamento (lungo) di Umberto Trani, direttore del Therasia Resort di Vulcano. «È la figura che mi ha cambiato la vita», ci dice con orgoglio. Ed è alle Eolie che arrivano stelle e riconoscimenti, l’ultimo il Passion Dessert della Michelin, primo italiano a conquistarlo: «Viene assegnato per tutto il comparto dolci, che è il più complesso ma anche il più importante, perché arriva a fine pasto e dunque è quello che lascia l’ultimo ricordo di una degustazione».

Tutto questo Davide Guidara lo ha conquistato in trent’anni di vita, metà dei quali vissuti in cucina. Il futuro? «Il mio motto è “o spingi o fingi”, spingersi oltre per dimostrare a chi ti è vicino il tuo valore. Cerco sempre di tramutare i sogni in obiettivi. E il mio sogno è entrare nella classifica dei 50 chef migliori al mondo».

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