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Chiara Zaccone, la messinese che coopera per la difesa dei diritti umani

«Una volta il rappresentante del ministero dell’Educazione, nella regione dell’Haut-Mbomou, mi raccontò un episodio avvenuto in una delle scuole elementari sostenute dal progetto che gestivo: la storia di un bambino cristiano che, dopo esser caduto, ha voluto essere accompagnato in ospedale solo dal suo compagnetto musulmano. Un gesto simbolico, in un Paese che da anni è teatro di violenti scontri armati che hanno visto l'opposizione della maggioranza cristiana alla minoranza musulmana».

Professione? «Cooperante». Chiara Zaccone, classe 1990, ha il sorriso smagliante contagioso e l'audacia di chi vuole essere la goccia nell'oceano che migliora il mondo ma che non ha il potere magico di salvare nessuno.

«Sono messinese doc – racconta la giovane alla vigilia della partenza per il Kenya – anche se la carta d'identità dice che sono nata a Roma. Papà lavorava al ministero della Difesa ed era stato trasferito nella capitale quando mamma era incinta. Poi, sono tornata a Messina». Dopo la maturità classica i bagagli per Torino.

«Ho scelto di studiare Scienze internazionali, dello sviluppo e della cooperazione – racconta Chiara –, poi ho proseguito con la magistrale in Relazioni internazionali con focus sui diritti umani. Fresca di laurea sono partita per il Servizio civile nazionale. Destinazione? Madagascar. La prima volta sono partita in Africa con una Ong di Roma e sono rimasta un anno. L'adattamento è stato complesso ma devo dire che mi sono sentita a casa anche se, ad esser sincera, sono partita con un bagaglio pieno di dubbi perché non sapevo se voler continuare il mio percorso nelle relazioni internazionali. Poi, feci un master in emergenze umanitarie. Quando capì che volevo raggiungere continenti più instabili, questo passaggio fu necessario».

Chiara racconta una delle sue esperienze «indimenticabili»: «Fu quella in un Centro di accoglienza appena aperto per richiedenti asilo e rifugiati a Rodi Milici. I nigeriani avevano ridato vita a quel posto. Nel 2018 ho lavorato poi come operatrice legale in un altro Centro di accoglienza nella città dei sette colli e non dimenticherò mai un aneddoto che mi è sempre servito per motivarmi. Una volta andai in Questura con un ragazzo del Camerun che parlava benissimo italiano. Dovevo aspettare un documento e il mio compagno di avventura mi fece praticamente da cicerone e attutì l’esperienza per me traumatica. Ironia della sorte volle che lo incontrai a marzo del 2022 a Bangui, un posto che è stato devastato dalla guerra civile ma che racchiude ancora sprazzi di bellezza . Eravamo colleghi e lavoravamo nella stessa organizzazione: la Coopi». La prima scoperta verso il Centro-Africa è durata 5 mesi.

«A marzo del 2021 – prosegue Chiara – ho fatto un corso per diventare project manager. Alla fine sono ripartita ancora con Coopi, di nuovo per la Repubblica centrafricana. Lì non riesci a farti una vita privata, vige il coprifuoco, gli spazi ricreativi sono pochi ma umanamente ne esci arricchita. Ho fatto missioni anche in posti sperduti al confine con il Sudan: abbiamo messo mattoncini per scuole nuove, sostenuto la formazione di insegnanti e incentivato la costruzione di spazi ludico-ricreativi. Semi di bellezza per gli occhi dei bambini che hanno vissuto eventi terribili impugnando anche delle armi. Eventi speciali? Il volto dei bimbi non abituati ai bianchi che gridavano con entusiasmo “Chiara, Chiara”».

Nel febbraio 2023 lo “stop” dopo un periodo di stanchezza, ma era solo un momento di stasi prima di prendere la rincorsa verso una nuova esperienza che contraddistinguerà il Natale 2023: «Ferma non so stare molto. Ultimo “frame”? In Ciad, ho guidato un progetto le cui attività erano volte al rafforzamento della coesione sociale attraverso l' empowerment delle donne e la loro inclusione nella risoluzione dei conflitti. Il contesto in cui le attività si svolgevano era quello della regione del Lago Ciad, una delle aree al mondo in cui la guerra e la crisi sociale e ambientale durano da più tempo, circa 13 anni». I sogni nel cassetto sono tanti: «Il lavoro che faccio mi piace immensamente. I diritti umani sono una conquista. E sogno che anche il peggior razzista un giorno si accorga della bellezza dell'altro».

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