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Da cuoco giramondo a mago dei computer, il messinese Manlio Chitè e una storia tutta da raccontare

Cibo e tecnologia hanno viaggiato sempre sullo stesso binario. E come un treno in corsa, il trentunenne Manlio Chitè ha fatto di un limite apparente un'opportunità. Dopo aver cominciato la carriera da cuoco giramondo ha deciso di seguire l'istinto. Si è trasferito a Londra e ha cominciato a lavorare nel mondo della programmazione dei software per Ibm.
Ma procediamo per gradi.

«Sono nato a Messina dove, da bambino, – racconta – mi è stata diagnosticata la dislessia e l’Adhd, condizioni che hanno sempre caratterizzato la mia personalità, rendendomi vivace e irresistibilmente attratto dalla tecnologia. Fin da piccolo ero un prodigio con i computer, ma parallelamente incontravo notevoli difficoltà a scuola. Ricordo come fosse ieri che durante il periodo delle scuole medie trovavo il modo di uscire clandestinamente dalla classe per rifugiarmi in un’aula prima della presidenza. Il preside mi conosceva molto bene, sia per il mio carattere attivo sia per le frequenti note sul registro. E perché usavo un “laptop” nero con un logo argentato che portava il logo “Ibm”, senza immaginare che un giorno avrei effettivamente lavorato per quella stessa azienda. Utilizzarlo mi faceva sentire come se ci fosse una realtà al di fuori di quella che stavo vivendo».

I suoi sogni erano quelli di frequentare l’Istituto tecnico-industriale Marconi o diventare musicista, studiando al Conservatorio, ma i suoi insegnanti gli sconsigliarono questo percorso e su sollecitazione della madre Manlio si iscrisse all'Antonello di Messina, optando per l'indirizzo di cucina, immaginando che avrebbe trascorso l'intera vita nella sua città natale. Lavorando come chef in qualche locale. Ma si sbagliava profondamente.

E un giorno, la docente di francese, Gabriella Baratta, grande motivatrice, gli chiese se gli sarebbe piaciuto lavorare in giro per l'Europa. Detto-fatto: «Durante la mia carriera da cuoco, – puntualizza – girando il mondo, la tecnologia è stata una costante nella mia vita. Ero spesso il punto di riferimento tra amici e colleghi quando si trattava di costruire un nuovo “pc” o risolvere problemi informatici. Tuttavia, una domanda mi ha sempre accompagnato come un chiodo fisso: se lasciassi mestoli e fornelli per intraprendere quello che volevo fare da adolescente?

La risposta è piovuta quando il nostro concittadino è arrivato nel Regno Unito, dove in una caffetteria ha conosciuto un giovane connazionale che frequentava il primo anno di informatica.

«Johnny – si accende di passione Manlio – mi raccontò del suo percorso di studi, e come la sua Università enfatizzasse la ricerca indipendente, le discussioni , i seminari. E il progetto di fine anno era allettante. Prevedeva lo sviluppo di un software da presentare ai docenti. Sentendo il suo entusiasmo ho compreso che quella era la strada che volevo intraprendere, ma molta gente mi disse che quello che stavo facendo, ovvero lasciare la mia carriera avviata per mettermi a studiare a 26 anni fosse una perdita di tempo».

Non ci pensò due volte e cominciò a cercare l'Università congeniale alle sue aspirazioni, iscrivendosi alla “Brunel University London”: «Sono felicissimo di aver studiato lì, grazie al mio percorso e stimolato dalla voglia di apprendere sono riuscito a lavorare part-time come ingegnere informatico per una piccola azienda britannica durante gli anni universitari. E per un'incredibile coincidenza del destino, una volta laureato, sono entrato a far parte di Ibm. La stessa azienda che mi faceva sgattaiolare fuori dell'aula per utilizzare il “laptop” della scuola».

Oggi il talento messinese si occupa principalmente di progettazione e sviluppo di sistemi integrati per le reti aziendali come ingegnere informatico e recentemente ha lavorato a un progetto che mirava a migliorare la sicurezza informatica per una grande organizzazione e non solo.

«Ogni giorno affronto sfide diverse – precisa – e parallelamente alle mie responsabilità principali svolgo un ruolo chiave nella formazione dei nuovi talenti: faccio da mentore e insegno programmazione ai programmatori junior che si uniscono alla nostra squadra. Il mio compito non si limita a trasmettere competenze tecniche e mi dedico anche a guidarli nella comprensione profonda degli strumenti e delle tecnologie che utilizzeranno nel loro percorso. Insegno una serie di linguaggi e tecnologie fondamentali, tra cui Html, Css, JavaScript e Java. Ogni nuovo programmatore che guido è un promemoria del mio stesso percorso, delle sfide che ho affrontato e delle conquiste che ho raggiunto. Cerco di instillare in loro la stessa passione, curiosità e desiderio di eccellenza che hanno guidato la mia carriera».

Altra chicca? Durante il suo ultimo anno di università ha avuto l'opportunità di presentare un progetto personale di fronte a una commissione. E il pensiero è andato subito alla madre, al bambino che è stato e alle difficoltà che, essendo dislessico, incontrava, come leggere un libro che appariva impresa titanica.

«Ricordo – emerge un tuffo nel passato – che mia mamma con infinita pazienza, ogni sera leggeva storie a me e a mia sorella prima di dormire. Sentire quelle storie narrate dalla sua voce, non solo rendeva il contenuto comprensibile, ma mi tranquillizzava e mi faceva sentire supportato. Questo dolce ricordo mi ha ispirato a creare “SpeechMe”».

Sebbene l'app sia stata inizialmente ideata per un pubblico anglofono, le sue funzionalità possono essere d'aiuto a chiunque nel mondo. Ed è disponibile sia come applicazione mobile che desktop. La versione mobile permette di leggere il testo ad alta voce, facilitando la comprensione, ma offre anche la possibilità di trascrivere ciò che l'utente dice, consentendo in seguito di rileggere e confrontare il testo parlato con quello scritto. Una “feature” aggiuntiva è la capacità di tradurre da qualsiasi lingua all'inglese.

 La versione desktop, invece, è arricchita da una funzione AI particolarmente innovativa: attraverso l'addestramento dell'intelligenza artificiale, l'applicazione è in grado di leggere il testo utilizzando la voce della persona scelta dall'utente.

«Nel mio caso, – riecco l'infanzia– ho potuto “riavere” la voce di mia madre che leggeva per me e soprattutto ho voluto trasformare un ostacolo personale in uno strumento di aiuto per molti altri. E tutto ciò mi ha permesso di comprendere che spesso, le nostre fragilità possono diventare punti di forza se affrontate con la giusta prospettiva e determinazione». E mentre rispolvera la massima di Tim Notke, un famoso allenatore di basket, “Il duro lavoro batte il talento quando il talento non lavora duro”, ammette che sogna di tornare a Messina. «È essenziale – conclude rivolgendosi ai giovani – cercare di ampliare costantemente i propri orizzonti, esplorando nuovi luoghi, acquisendo nuove lingue e culture. Soprattutto, è importante non lasciarsi limitare dalle proprie paure ma seguire cuore e passioni».

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