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Sergio Mazzei, medico da Messina agli Emirati Arabi: «Qui posso realizzare la mia missione»

«La gratificazione di vedere i pazienti recuperare la salute è una delle più grandi ricompense». Da Messina agli Emirati Arabi il passo è stato voluto. Il messinese Sergio Mazzei, classe 1979, è dal 2018 il medico del Consolato generale d’Italia a Dubai e lavora in due strutture private, “Al Das Medical Clinic”, poliambulatorio medico attivo 12 ore al giorno, 7 giorni su 7, e “Al Zahra Hospital Dubai” che haa un sistema di emergenza h24 ed offre anche la possibilità di ricovero in area medica e chirurgica. E tra questi c’e il servizio di Vulnologia, branca di cui il dottor Mazzei si occupa, coordinando il “wound care department”.

La sua storia professionale inizia nella città dello Stretto dopo la maturità classica conseguita al liceo la Farina. «La passione per la medicina? Come per molti – racconta – è un sentimento che nasce da curiosità, empatia e l'obiettivo di aiutare gli altri. E nel mio caso, questa passione ha radici lontane. Infatti, ho sempre avuto un forte interesse per le scienze biologiche e nel tempo libero leggevo voracemente riviste scientifiche e guardavo documentari medici. Questo interesse mi ha portato a considerare il campo medico come sbocco professionale e così ho iniziato il mio percorso rincorrendo il mio sogno a Messina dopo la fatidica sudata ammissione all'università».

Dopo la laurea, la specializzazione al Policlinico sotto la guida della professoressa Mara Gioffrè: «Quel periodo lo ricordo come se fosse ieri. Ho lavorato duramente lasciando la mia città per acquisire esperienza in Scozia e poi mi sono trasferito a Milano dove ho avuto il privilegio di stare a contatto con il professor Vincenzo Mazzaferro all’Istituto nazionale dei Tumori nel reparto di Chirurgia “epato-bilio-pancreatica e trapianti di fegato”. E poi mi sono trasferito a Lecco al Dipartimento di Chirurgia generale all’ospedale Manzoni per preparare la tesi di laurea specialistica in chirurgia robotica. E oggi posso dire che andare fuori mi ha dato la possibilità di partecipare a un buon numero di interventi chirurgici: esperienza fondamentale per completare la parte pratica della specialità chirurgica e immagazzinare tecniche avanzate».

Dopo aver completato la specializzazione il talento nostrano ha avuto la fortuna di lavorare a Monza in una clinica del gruppo San Donato, nel team di Vulnologia, un Dipartimento dedicato alla diagnosi, trattamento e cura delle lesioni cutanee complesse. «Questo reparto offriva – precisa – un'attenzione altamente specializzata e personalizzata ai pazienti, contribuendo a migliorare la loro qualità di vita».

Nel 2016 arriva il biglietto per Dubai: «Il trasferimento è stato una decisione significativa e per certi versi sofferta. Tra le motivazioni sicuramente positive ci sono che Dubai è una delle città più dinamiche e cosmopolite del mondo. Lavorare qui ti permette di aprire porte e opportunità ovunque. E poi va sottolineato che gli Emirati sono noti per la sua sicurezza e stabilità politica ed economica. E questo incoraggia chi come me ha famiglia. Non esiste criminalità, i bambini possono giocare nei parchi potenzialmente senza supervisione e siamo sicuri che niente può succedere. Le donne possono tranquillamente prendere i mezzi di trasporto a qualsiasi ora».

Ma ci sono anche note dolenti: «In Italia sentivo che la mia carriera era bloccata e questo senso di costante insoddisfazione mi portava ad essere per certi versi “frustrato”. Non era solo questione di affrontare tanti turni e ore di lavoro dividendosi tra reparto e turni di Pronto soccorso, che tutti i colleghi sono costretti a fare in Italia, ma la sensazione di far parte di un ingranaggio da cui non si riesce a divincolarsi, esponendo il personale medico a rischi medico-legali dovuti alla rapidità di eseguire visite di 10 minuti senza avere nessuna possibilità di dedicare il giusto tempo al paziente, che ha aspettato 6 mesi di lista d’attesa per la visita e qualche anno per essere operato per gli interventi ordinari. Questo a Dubai non succede. Si dedica il giusto tempo al paziente, circa 30 minuti e questo getta le basi per il classico rapporto medico-paziente».

E sul fatto di tornare in patria non risponde subito con un sì entusiastico ma lascia spazio alla riflessione: «Sicilia è casa. La mia famiglia vive lì. Tornare? Sarebbe una decisione significativa, influenzata da una serie di fattori personali e professionali. Siamo una regione ricca di storia, cultura e bellezze naturali, ma arranca su molte cose. Insomma, lavorare nella mia terra potrebbe significare la riscoperta delle radici culturali e un ritorno ad un ambiente familiare, ma credo che le opportunità di carriera potrebbero essere più limitate». Infine, un messaggio ai giovani: «Dico loro di inseguire il proprio sogno perche le soddisfazioni arriveranno di conseguenza. E soprattutto di non farsi abbattere dagli intoppi durante il percorso, perché alla fine non importa quante volte si cade, ma è più importante quante volte ci si rialza».

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