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Messina, il giorno della Vara: viverlo e condividerlo

Cos'è la Vara? «Mani, piedi, fango, ali, terra, cielo». A chi viene da fuori un messinese potrebbe dare altre mille risposte, ma tutto, poi, ruota attorno a quelle sei parole. Le mani, sì, è tutto un gioco di mani. Mani che si aggrappano alla corda, mani che sorreggono, mani che spingono, mani che soccorrono, mani che sanguinano, mani che s'intrecciano e si stringono.

Migliaia e migliaia di mani, senza di loro non ci sarebbe il movimento, non ci sarebbe il soffio vitale, la “machina” non avrebbe il “motore”. E i piedi, ovviamente. Scalzi, che scivolano sull'asfalto bagnato, che si feriscono, e corrono, poi si fermano, riprendono il cammino, diventano un tutt'uno con la strada.

Il fango è componente essenziale, è la strada stessa. È metafora di ogni percorso, del viaggio interiore, del pellegrinaggio dell'anima e del tentativo di un'intera comunità di uscire dalla palude e trovare la sua via. Le ali non sono solo quelle degli angioletti che circondano la struttura piramidale dove si staglia, più alta di tutti, la Madonna che vola verso il cielo. Le ali sono quelle che fanno spiccare il volo alla Vara quando in certi momenti la sua corsa sembra inarrestabile, come un aereo pronto al decollo.

E poi la terra e il cielo. Non servirebbero neppure spiegazioni. La terra sono le nostre radici, è tutto quello che ci lega qui, in questo particolare momento, in questo particolare luogo del mondo, in questa piccola “aiuola” dantesca, dove ognuno sembra coltivare solo il proprio orticello ma, poi, quando ci si ritrova tutti insieme, fieri e orgogliosi della propria identità, ma anche umili quel tanto che basta da poter riconoscere che ognuno di noi ha bisogno dell'altro, perché da soli non siamo nessuno, ecco che lì avviene il “miracolo”, il punto d'incontro tra terra e cielo.

«La Vara è d'a Madonna», è l'espressione colorita di un vecchio componente del Comitato. E anche questo va spiegato, anche se sembra l'espressione più semplice da capire. La Vara non appartiene a nessuno in particolare, non è del Comitato, non è dei tiratori, dei vogatori, dei sacerdoti, del sindaco, delle autorità, dei santi e dei mafiosi.

La Vara è libera, anche se ha bisogno delle corde per essere trasportata. È il simbolo della fede mariana di un popolo. Simbolo di fede intima e autentica, per chi crede. Ma anche di identità e di passione, per chi ha una visione laica della vita, per chi ha dubbi, per chi vorrebbe ma non riesce a credere.

La Vara è dei semplici. La si può capire solo vivendola, la si può vivere solo demolendo, almeno per un giorno, le proprie impalcature mentali, la spocchia di certi intellettuali, quel razzismo d'alto bordo di chi non vuol confondersi con la plebaglia. «Dal letame nascono i fiori», cantava il grande Faber. Se non hai camminato per una volta a piedi nudi nel fango, non puoi capire quanto sia bello coltivare spicchi di cielo dentro di te.

Le parole vuote suonano retoriche e questo è sempre il rischio che si corre ogni volta, quando la città si prepara a vivere l'evento più importante dell'anno. Ma è proprio per sfuggire a questo rischio, che bisogna riempire di contenuti il contenitore, e lo si può fare solo stando dentro al momento presente, viverlo fino in fondo.

E per far questo, c'è bisogno di mani. Le mie, le tue, le nostre. Mani che s'incollano a una maglietta bianca bagnata di fatica e di sudore e che sospingono l'uomo o la donna che c'è davanti, mentre quello o quella che c'è dietro fa lo stesso con noi. Mani che sanguinano, piedi che bruciano, passi nel fango, ali che ci portano in alto e poi ci fanno planare, lì dove terra e cielo sono uniti dalla stessa corda.

Questa è la Vara. Ed è centomila altre cose, perché ognuno dei centomila e più, che oggi saranno in strada, coltiva il proprio sentimento, il senso di questo cammino, la propria spiegazione. Ma poi ci si ritrova, tutti insieme, e la Vara allora, come ogni anno, da secoli, diventa un unico grido.

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