Se non avessero raccolto l'eredità germogliata in terra di Sicilia quasi sicuramente il racconto di un piccolo artigiano si sarebbe trasformato in un amarcord nostalgico su quello che si poteva fare e non si è fatto per potersi affacciare al futuro con più speranza.
Eppure tre giovani messinesi, Katia Cosentino, Emanuela Russo e Giuseppe Piccolo, hanno deciso, anche se i loro percorsi professionali li avevano portati altrove, di investire sulle proprie radici per creare una nuova impresa che produce liquori artigianali partendo proprio da un vecchio opificio.
«Questa avventura - ha raccontato Katia - nasce nel 2011 dalla voglia di voler trasformare dei prodotti freschi dell'azienda agricola di Giuseppe. In corso d'opera e mentre si stava imbastendo l'idea imprenditoriale i miei soci hanno conosciuto il signor Pippo Giorgianni che aveva un laboratorio di produzione artigianale di liquori a Roccalumera. Lui avrebbe dismesso la sua attività, perché i figli, come spesso accade, non volevano portarla avanti».
I tre, quindi, si son detti senza tentennamenti “perché no?”: «Emanuela e Giuseppe hanno acquisito metodi di lavorazione di tantissime tipologie di liquori, e seguendo le orme dell'artigiano, con cui hanno lavorato fianco a fianco sei mesi, hanno iniziato a fare dei prodotti simili. Tre anni e mezzo fa si è arrivati alla creazione di un nostro brand perché se fai un prodotto di qualità è necessario comunicarlo in un certo modo. Quindi abbiamo messo insieme le competenze che abbiamo maturato per spiegare il valore aggiunto dei nostri prodotti».
Tre tipologie di liquori su cui si è scelto di puntare: limone, finocchietto selvatico e fico d'india, e le materie prime che sono il frutto e parlano di un' agricoltura definita eroica che viene portata avanti tra Fiumedinisi e Raccalumera: «I fichi d' India provengono dai giardini di Giuseppe, i limoni sono “Interdonato”, e poi abbiamo fatto in generale un'attenta selezione di altre materie prime di qualità come le mandorle che provengono da Avola, i pistacchi di Bronte, la liquirizia calabrese e la cannella che viene dal lontano Sri-Lanka».
Un sodalizio particolare quello dei tre soci, soprattutto se si pensa che qualcuno ha rinunciato ad un posto fisso: «Con Emanuela ci conosciamo dalle scuole elementari e a sua volta lei e Giuseppe si sono conosciuti perché entrambi hanno lavorato alla Coldiretti, quindi il collante che ci ha unito è stato l' amore spasmodico per la natura e il buon cibo. Emanuela ha lasciato incarichi dirigenziali e anche io quando è nato il tutto ho deciso di lasciare il mio posto fisso in una multinazionale della comunicazione a Roma per entrare a far parte di questa società».
La motivazione comunque dà la spinta per andare avanti: «Le ricette continuano ad essere studiate da noi e poi abbiamo ragazzi e ragazze, che ci aiutano nelle fasi di maggiore produzione». I giovani sono sempre alla ricerca di nuove idee, vogliono sorprendere il mercato: «Questo progetto mi ha fatto venire voglia di ritornare e dopo che sono stata fuori e ho viaggiato tanto posso dire che il nostro territorio ha tutte le potenzialità per tornare ad essere competitivo».
E ne sono arrivate di soddisfazioni. «I percorsi sono difficili ma siamo felici, oggi, di essere protagonisti di una storia della Gazzetta. Anzi - conclude Katia - ci piacerebbe che altri ragazzi si unissero al coro di chi vuole fare cose in controtendenza. A volte, però, mi rendo conto che è importante vedere cosa c'è fuori, maturare delle competenze specifiche e metterle a disposizione di un progetto in cui si crede. Insomma, bisogna partire per ritornare, perché a volte cogliere una sfida è davvero bellissimo».
E del resto, come diceva Pavese: «Un paese vuol dire non essere soli, sapere che nella gente, nelle piante, nella terra c' è qualcosa di tuo, che anche quando non ci sei resta ad aspettarti».
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