Il day after? Telefono che squilla in continuazione e pasta al forno da gustare nella sua dimora romana per omaggiare la Sicilia. Marco De Vincenzo, classe 1978, designer e direttore creativo di Etro, che vanta una lunga carriera con Fendi e collaborazioni con artisti di livello internazionale, è come se avesse vinto anche lui la 74esima edizione del Festival di Sanremo, considerando che ha ideato gli abiti di Angelina Mango. Rendendo ancora più esplosiva "La Noia":«Sanremo – dice in premessa – è un posto magico che rende partecipi tutto il Paese e anche la nostra città. Messina mi sta pensando e sono orgoglioso. Del resto per me è casa. I miei genitori vivono ancora lì e la Gazzetta del Sud del resto è il nostro quotidiano».
Il giorno della partenza
Eppure, il giorno dei bagagli Marco lo ricorda come se fosse ieri. In valigia aveva un sogno da custodire e in testa il suo estro creativo che sfogava da bambino, già a 5 anni, con un foglio bianco e una matita. Mentre tra le mura domestiche mamma Santina e papà Vincenzo sgranavano gli occhi in segno di stupore per quel figlioletto timido e introverso, ma con un' anima vibrante e scalpitante. Rappresentazione che sembra difficile immaginare sentendolo parlare : «Nascere al Sud – racconta – non deve porre dei limiti perché se no è facile arrendersi in partenza. Ho frequentato il liceo la farina con la mia amica Nadia Terranova e la moda è arrivata durante l'adolescenza. I miei hanno sempre supportato il mio dono senza forzarmi. Hanno visto queste scintille sperando forse che si spegnessero perché il sogno era grande e significava andar via. E così fu. A 18 anni presi un treno notturno dalla stazione centrale tra lacrime e mille mancanze e i primi tempi approfittavo di ogni scusa per tornare».
Il mondo della moda
Il giovane allo Ied trovò un ambiente stimolante e capì che la moda era davvero come una sorta di seconda pelle: «Ero talmente affamato di cominciare che ho iniziato prestissimo a lavorare. Il primo approccio fu con Fendi e si è trasformato in un sodalizio più che ventennale perché collaboro ancora come designer di borse che allora erano il cuore della creatività del marchio internazionale. Al colloquio ero terrorizzato, esattamente come i giovani che mi capita di vagliare oggi e con cui capita di immedesimarmi, ma l'indomani una chiamata mi diceva che ce l'avevo fatta. Per i primi 10 anni della mia vita ho fatto felicemente questo ma la sera ogni volta che tornavo a casa mi mettevo a disegnare fino a tardi ». Il tempo riempito con i bozzetti era quello che accendeva la sveglia del fare di più e così Marco a trent'anni ha dato ascolto alla voce dell' ambizione: «La mia specialità era riconosciuta negli accessori, e così per fare altro decisi di creare il mio marchio omonimo e mi sono buttato nel mondo della moda senza avere dei piani. Fendi ha accettato la mia scelta e capito che la creatività non si può rinchiudere. Ma non è stato tutto facile. Ho affrontato un percorso ad ostacoli per diventare imprenditore di me stesso. E non era ad essere sincero la mia vocazione. Tutto ciò però ha fatto breccia. Popolai nuovi nomi del made in Italy di cui il nostro paese aveva bisogno e guardandomi allo specchio e parlando con me bambino potevo e posso dire "hai sognato più in grande di quello che avevi immaginato"».
La chiamata di Etro
Un momento di stasi e riflessione è arrivato con il Covid e proprio quando aveva lanciato un piccolo progetto di moda riciclata è arrivata la chiamata di Etro: «La mia vita – sottolinea – da un anno e mezzo è cambiata. Mi divido tra questi due marchi. E di Fendi sono il responsabile stile della pelletteria. Sanremo? Una progetto magico. Ha vinto il lavoro di gruppo. Angelina e il suo team avevano un'idea ben precisa che abbiamo contribuito a portare sul palco e devo ammettere che alla prima esibizione sono rimasto letteralmente inchiodato perché la personalità ha vinto su tutto e l' immagine dell' artista si è fusa pienamente con quello che voleva dire e portare all'Ariston. Altro momento che ricordo con piacere è quando vestì Virginia Raffaele. Allora portai con me nella città dei fiori mio fratello Fabio che fa l'oncologo a Milano perché il mio lavoro è una gioia condivisa».
Vincere le insicurezze
Il nostro concittadino che è un fiume in piena di entusiasmo ammette di aver imparato da qualche periodo di raccontare sé stesso. Inizialmente bisogna vincere le insicurezze tipiche del palcoscenico che aveva desiderato: «Tutti –chiosa –volevano sapere chi fosse Marco De Vincenzo. Pensavo che il mio lavoro parlasse per me. Ma non era così. Io lanciavo i miei disegni per un periodo, facevano centro, e non avevo la capacità di stare sul palcoscenico. E ci ho fatto i conti dopo. Oggi però nel tempo in cui si corre sempre e tutti pensano di racchiudere tutto in una battuta veloce, o su ciò che si veicola sui social, io avevo solo una grande urgenza: essere credibile agli occhi di me stesso prima di tutto. Restare autentico. Ora sono pronto ad accogliere i giudizi esterni perché c'è stato questo passaggio».
La marcia in più dei Messinesi
Un messaggio prorompente per chi di fatto è un mostro di bravura ma minimizza il successo come solo il grandi sanno fare. Sui messinesi invece non ha dubbi, a volte hanno una marcia in più per immaginare ciò che hanno perso: « La mancanza nutre l' immaginazione. E per me è stato un motore. Oggi mostro la città con orgoglio e la difendo dai luoghi comuni sul fatto che non ci sia nulla o che rappresenta semplicemente una città di passaggio. Non nascondo – conclude – che mi piacerebbe fare qualcosa per la mia terra e restituire l'amore che provo ».
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