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Acqua per la costruzione del Ponte: le soluzioni della società “Stretto di Messina”. Il piano A: pozzi nella zona ionica

I documenti sono 1.410, quello principale conta oltre 600 pagine. Ma dopo un’estate da incubo per un’emergenza idrica che solo oggi – e non in tutta la Sicilia – sembra concedere tregua, una delle più importanti integrazioni al progetto definitivo del Ponte, tra quelle che la “Stretto di Messina” ha trasmesso, giovedì scorso, al ministero dell’Ambiente, è proprio quella sull’approvvigionamento idrico dei cantieri. La commissione Via-Vas è l’interlocutore principale, non l’unico, di questa fase (la “Stretto” ha risposto anche alle osservazioni del pubblico, anche se adesso c’è tempo fino al 13 ottobre per presentarne, e al ministero della Cultura). E quella commissione aveva posto un tema preciso, chiedendo «di aggiornare e dettagliare i quantitativi di risorsa idrica necessari per le attività previste nelle attività di cantiere per la realizzazione di tutti gli interventi progettuali, individuando in dettaglio le fonti di approvvigionamento utilizzabili e analizzando e valutando eventuali possibili misure di riutilizzo delle acque, nel rispetto degli strumenti di pianificazione e programmazione delle risorse idriche, dei contenuti del Regolamento europeo e delle esigenze idriche dei diversi ambiti territorialmente interessati».

Tema particolarmente caldo, in tempi come questi, tant’è che nello stesso documento di quasi cento pagine consegnato dalla società del Ponte «si evidenzia che l’analisi delle soluzioni progettuali è stata sviluppata alla luce dell’attuale situazione di emergenza idrica in cui versa il territorio della Regione Sicilia e ai divieti imposti dai sindaci con cui sono individuate le azioni e le buone pratiche finalizzate al risparmio idrico potabile e alla riduzione dei consumi». E viene aggiunto che si è pensato «solo ad interventi che permettano l’integrazione della risorsa potabile disponibile, che da un lato possa garantire l’alimentazione dei cantieri per la costruzione del Ponte di Messina e dall’altro resti come infrastruttura al servizio del territorio, fornendo sin dall’inizio un primo contributo di miglioramento al sistema di approvvigionamento idrico di Messina e dalla fascia costiera ionica».

La soluzione pozzi

È il “piano A”, quello preferito, dai progettisti del Ponte. Prevede «la realizzazione dei campi pozzi, previsti già dal Piano d’ambito dell’Ati Messina sulla fascia ionica, in modo tale da derivare almeno 100 litri al secondo», tenuto conto di «una potenzialità complessiva dei tre campi pozzi di circa 160 litri al secondo (95 l/s Fiumara d’Agrò, 45 l/s Torrente Savoca e 25 l/s Torrente Pagliara)». Le acque verrebbero «convogliate, tramite apposite condotte, sull’adduttore principale dell’acquedotto Fiumefreddo». In questo modo la portata dell’acquedotto Fiumefreddo, cioè la principale fonte d’approvvigionamento della città, «passerebbe dai circa 850 litri al secondo mediamente convogliati a circa 950 litri al secondo, ovvero circa 1.000 litri al secondo se si realizzassero tutti e tre i campi pozzi». Soluzione che, scrive la “Stretto”, metterebbe «a disposizione della città di un surplus di circa 150 litri al secondo. Una parte, pari a circa 25 litri al secondo, potrà essere lasciata al serbatoio Mangialupi per l’alimentazione del cantiere di Contesse (e degli altri cantieri nella zona sud), tramite la rete idrica interna. La restante parte, pari a circa 125 litri al secondo, potrà essere resa disponibile sulla linea Montesanto 2 -Tremonti, da cui sarà possibile alimentare i cantieri siti nella parte Nord di Messina e nella località Torre Faro, per un totale di portata di picco richiesta di circa 45 litri al secondo. La restante risorsa resterebbe alla città».

L’ipotesi Alcantara

Tenendo conto della condotta che si prolungherebbe lungo la dorsale verso Torre Faro, «una alternativa per l’approvvigionamento idrico da fonti di tipo convenzionale – si legge nel documento –, potrebbe essere quella di attingere dall’acquedotto Alcantara, gestito da Siciliacque Spa, nel caso di un surplus di portata su tale adduttore. Le portate sarebbero convogliate al nodo di consegna di Amam Spa, in corrispondenza del serbatoio Montesanto 2». Soluzione che «potrebbe garantire l’approvvigionamento dei circa 70 litri al secondo richiesti dai cantieri presenti nella zona di Messina Nord e Torre Faro, ma sarebbe una soluzione gravata dalla disponibilità di risorsa idrica che potrebbe venire meno nei periodi di siccità come quello attuale». Insomma, un’ipotesi considerata, al momento, piuttosto remota.

I dissalatori

Uno dei “piani B” è quello dei dissalatori, «nell’ottica di sfruttare l’acqua di mare per produrre acqua potabile e industriale, sono stati valutati diversi scenari di localizzazione, ipotizzando una produzione di circa 50-70 litri al secondo». Due gli impianti ipotizzati, alternativi tra loro: un impianto di dissalazione denominato Due Torri, a Torre Faro, e uno nella zona Falcata, «in un’area già individuata da Amam Spa e oggetto di bonifica». Bocciata, invece, l’ipotesi di un dissalatore a Paradiso.

I depuratori

Un altro piano B, forse anche C, è quello che prevede il riuso delle acque reflue dai depuratori. «L’unica possibilità è quella di utilizzare il depuratore di Mili Marina, che tratta una portata media circa 640 litri al secondo». Si tratterebbe «di realizzare una sezione di affinamento per il riuso, in grado di produrre 30 litri al secondo, così da coprire i fabbisogni di acqua industriale del cantiere Contesse». Una soluzione che, però, «presenta significative criticità realizzative, interessando un’area fortemente urbanizzata, un’arteria principale cittadina a fortissimo traffico, con rilevante presenza di sottoservizi, che potrebbero pregiudicare la fattibilità dell’intervento». Dissalatori e riuso delle acque reflue sono anche i piani che richiederebbero i tempi più lunghi: rispettivamente 2 anni e 1 anno e nove mesi.

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