Minuta, ma di grande tempra. Donna a 360 gradi, nella vita, nella famiglia, nel lavoro. Bernardette Grasso è insieme Mamma, Moglie, Avvocata Sindaca di Capri Leone e Deputata all’Ars. Termini volutamente e non a caso contrassegnati dalla prima lettera maiuscola. Sindaca, una delle poche nel vasto territorio della Città metropolitana di Messina, che ne conta appena sei in centootto Comuni, al momento tutte attivissime sul versante tirrenico-nebroideo.
Come nasce la sua passione per la politica?
«Sono cresciuta a “pane e politica”, mio padre ha fatto il sindaco dal 1962 al 2001. E mi ha trasmesso l’amore per questo paese, il senso di appartenenza a questa comunità. Sono sempre stata dietro le quinte, l’ho supportato, pur svolgendo la professione forense. Non pensavo di scendere in prima persona in campo, ma quando mio padre morì improvvisamente nel 2001, una parte del gruppo che lo sosteneva mi chiese di candidarmi a sindaco. Ero indecisa, perché avevo un figlio ancora piccolo e il mio studio d’avvocato era ben avviato e ne stavo raccogliendo i frutti. Poi mi sono “buttata” nella politica».
La prima elezione è andata a buon fine, comunque.
«Sì, ma è stata travagliata, con una differenza di appena 17 voti tra me e un altro candidato, seguita da un ricorso. Alla fine è andata bene. La seconda, nel 2017, anche, ma la cosa più importante è che sono riuscita a creare una bella squadra, e crescere una classe dirigente. Poi, dimessosi il sindaco, mi sono ritrovata di nuovo qui..... Il capo di un’Amministrazione è l’interfaccia con la comunità e oggi è molto difficile e complicato il suo ruolo».
Ci sono differenze per una donna tra ambito forense e politico?
«A livello professionale, sono stata costretta a restringere l’attività di avvocato a causa dell’impegno politico. E ciò non è facile soprattutto per una donna, ma io parto da un presupposto: si dice che le donne sono più forti e determinate, si parla di parità, però in politica per una donna crescere è più difficoltoso, anche per via di pregiudizi. Forse da sindaco si avverte meno, perché c’è un contatto diretto con la popolazione, c’è una maggiore empatia con la gente. I cittadini votano a prescindere dall’essere uomo o donna».
Ma ai “livelli superiori” è la stessa cosa?
«No, quando l’asticella si alza subentra un percorso politico diverso. Non basta essere brava, i pregiudizi aumentano».
Però lei ce l’ha fatta, prima con l’elezione a deputata regionale.
«Questo perché sin da quando ho guidato questo Comune, ho visto Capri Leone in un contesto nebroideo. Ho sposato battaglie che sono andate oltre il municipalismo, come quelle per l’ospedale di Sant’Agata Militello, per la mancata manutenzione e la sicurezza dell’autostrada. Dopo due mandati ho iniziato a coltivare l’idea che certe proposte avrebbero potuto essere spostate a livello regionale. Inoltre, sono stata sempre in Forza Italia e nella sua classe dirigente, ho vissuto in prima persona l’accordo tra Berlusconi e Grande Sud di Micciché, pertanto ero proiettata in un ottica più ampia».
Questa intesa si è rivelata fruttuosa per lei.
«Certo, perché sono stata eletta all’Ars con Grande Sud, nel 2012, grazie a una lista territoriale».
E in Forza Italia è stato sempre tutto rose e fiori?
«Nel partito mi è stato chiesto più volte di fare un passo indietro, pure come donna, ad esempio con candidature di servizio. Un passo indietro in favore di altri».
Nei posti chiave della politica, ha mai notato diffidenza, pregiudizi?
«Assolutamente no. Le dico che la prima esperienza all’Ars la ricordo come una delle più belle. Ero all’opposizione della compagine che sosteneva il presidente Crocetta, ed ero a fianco di politici di lungo corso abbastanza autorevoli. Ricordo anche che si era aperta a possibilità di ricoprire il ruolo della vicepresidenza dell’Ars. Sul mio nome c’era la convergenza perfino del Partito democratico, ma il mio partito, all’epoca coordinato da Gibiino mi disse che non se ne parlava nemmeno, perché ero alla prima legislatura. Ed ecco uno dei tanti passi indietro. Il risultato? Voto segreto, e il candidato del mio partito non fu eletto».
Poi il riscatto con la designazione ad assessora?
«Ci voleva una donna in giunta regionale, ma anche quello fu un passaggio abbastanza travagliato. Il presidente Musumeci mi voleva assegnare la delega alle Autonomie locali. Il mio partito non era d’accordo, ebbi uno scontro con Micciché e minacciai la fuoriuscita. Questo perché c’è una cosa di fronte alla quale non ho mai derogato: il rispetto, che è essenziale. Io sono una persona libera, ma non accetto che venga meno questo valore. Mi sono guadagnata tutto da sola. Si ricompose tutto e per due anni e mezzo ho guidato quell’Assessorato, con un’impronta tecnico-giuridica. Grazie ad alcune norme, sono riuscita a fare riaprire i concorsi, a far stabilizzare i precari».
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