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Comune di Messina, tutti i possibili scenari della crisi politica a palazzo Zanca

Il Pd ago della bilancia di una situazione di stallo impensabile dopo le urne del 2022

Il sindaco Federico Basile non ama chiamarla crisi, piuttosto usa le parole «assestamento» e «ripensamenti» . Scelte terminologiche a parte, di certo a Palazzo Zanca si è venuta a creare una situazione che quasi nessuno avrebbe pronosticato dieci mesi fa, dopo il trionfo dei deluchiani, la conquista di una maggioranza bulgara in consiglio comunale e l’aggiunta immediata di due elementi alle primissime battute di mandato (Concetta Buonocore, eletta nel centrosinistra, e Nicoletta D’Angelo, eletta nel centrodestra). Oggi quella maggioranza non c’è più, deve fare i conti con una separazione forse prima o poi prevedibile – quella con la Lega, agevolata, del resto, dalle continue uscite di Cateno De Luca contro le scelte nazionali del leader Salvini – e con altri fattori, invece, imprevisti, almeno sulla carta, come gli addii di Cosimo Oteri e Mirko Cantello prima e, nei giorni caldi del voto sulla presidenza del consiglio comunale, di due delle più giovani della compagnia, Giulia Restuccia ed Emilia Rotondo.
I numeri oggi parlano di un perfetto “pareggio” tra area deluchiana e centrodestra (15 a 15), col Pd che, giocoforza, finisce per assumere il classico ruolo di ago della bilancia. Una situazione di stallo che può cambiare solo in due modi: l’intesa tra il Pd e una delle due aree (entrambe distanti politicamente) oppure il “ripensamento” di qualcuno delle due compagini. Ad oggi sembrano improbabili tanto la prima quanto la seconda strada, ma nulla si può dare per scontato, anche perché continuano ad essere frequenti i contatti telefonici trasversali, i messaggi, le trattative vere e proprie.
In gioco, a questo punto, c’è più della presidenza del consiglio comunale, che da una parte ha un candidato unico – Nello Pergolizzi, per il quale comunque sarebbe pronta, in alternativa, la casella dell’assessorato scientemente lasciata vuota dopo le dimissioni di Carlotta Previti –, dall’altra ne ha, forse, troppi. Se, infatti, tutti sono d’accordo tra “gli altri quindici” nel non voler lasciare la presidenza ai deluchiani, non c’è l’intesa su un nome unico, perché le ambizioni sono tante, alcune nascoste, altre meno. Ecco perché il nome forte di queste ore, nonostante il suo cronico assenteismo paragonabile solo a quello di De Luca, è quello di Maurizio Croce. Un nome “al di sopra”, ma che rischierebbe di rimanere anche “al di fuori” dell’aula, per l’incarico che continua a ricoprire a livello regionale.
Lo stesso Pd, che per adesso rimane alla finestra, non si nega al dialogo, ma difficilmente scenderebbe a compromessi senza ottenere l’unico ruolo che giustificherebbe un’intesa col “nemico”, qualunque esso sia: la presidenza, appunto. Un ruolo a cui Felice Calabrò, ad esempio, ambiva già nello scorso mandato.
Il punto è che alle ragioni politiche se ne aggiungono altre, di natura meno “ideologica”. La presidenza del consiglio comunale, con l’adeguamento delle indennità deciso nei mesi scorsi dall’Amministrazione, vale infatti un cachet mensile lordo di 7.450 euro, che dal primo gennaio 2024 diverranno 9.285 euro, quasi il triplo di quanto era previsto fino al 2021, esattamente pari allo stipendio di un assessore. Ecco perché quella poltrona fa gola a molti, e non solo per ragioni politiche, così come, va detto, non ci sono solo ragioni politiche dietro a quelli che Basile ha chiamato «ripensamenti» di questi giorni.

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