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Regionali, la “quasi” vittoria di De Luca diventa una cocente «sconfitta»

Perché il leader di “Sud chiama Nord” si mostra deluso, nonostante l’ottimo risultato a Palermo e a Roma

Chi ha imparato a conoscere Cateno De Luca non può rimanere stupito dalla sua reazione di fronte al risultato elettorale di lunedì. Ma come? Solo contro tutti, senza veri partiti alle spalle, arriva secondo alla Regione, piazza un drappello di sette deputati all’Ars ed elegge due parlamentari a Roma, gocce isolate dentro una marea di centrodestra, e lui la prende così? Non con semplice amarezza, ma con rabbia, con vera e dolorosa delusione? Sì, e non deve stupire. Perché Cateno De Luca ha perso, pur vincendo più di quanto, sei mesi fa, diversi osservatori e addetti ai lavori si sarebbero aspettati (specie fuori Messina).
A uno come De Luca non piace e non può bastare arrivare secondo, non è abituato a perdere, tant’è che l’ultima sconfitta elettorale risale a dieci anni fa (anche lì, da candidato presidente della Regione, ma oggettivamente con meno aspirazioni di partenza, per l’ultima vera sconfitta bisogna tornare al 1998).
Aveva scelto Fiumedinisi come quartier generale del giorno dei giorni perché lui, quel giorno dei giorni, se l’era davvero immaginato diversamente. Nella sua narrazione epica, il trionfo doveva essere celebrato lì dove tutto è cominciato; non solo il famoso e coreografico cammino verso Palermo di questa estate, ma il più lungo percorso di una carriera politica vissuta seguendo sempre una sola stella cometa: l’ambizione, l’asticella sempre più su, la poltrona più alta come unica opzione possibile.
De Luca è deluso perché pensava di poter contare su armi di cui si è scoperto sprovvisto. Il più volte evocato voto disgiunto c’è stato (8 punti in meno Schifani, 6 in più De Luca rispetto alle liste), forse si pensava potesse essere ancora maggiore, forse – più realisticamente – dalle liste, fuori Messina, è arrivato meno di quanto preventivato.
De Luca è deluso perché consapevole che se l’ascesa da outsider a Messina era finita da un bel pezzo, in Sicilia si è conclusa adesso. E quindi sa che dovrà svestire i panni a lui più congeniali di scheggia impazzita, sa che, venuta giù la spesso comoda maschera del masaniello, ora dovrà prendersi onori e oneri del più rigoroso abito di leader di una delle più potenti macchine elettorali siciliane e come tale dovrà impostare la sua nuova strategia.
Qualcosa non ha funzionato, inutile negarlo, è quel Danilo Lo Giudice, fedelissimo di sempre, “delfino” della prima ora, rimasto fuori dai giochi, ne è una dimostrazione. Adesso l’urgenza di tenere sempre tesa la corda di un violino capace di suonare al meglio quando c’è una campagna elettorale di mezzo lo porterà a candidarsi a sindaco della prestigiosa Taormina, nel suo feudo ionico. Sbaglia chi pensa che sarebbe un passo indietro, una ritirata dal campo di battaglia. È la classica pausa di chi ha necessità di riorganizzare le truppe in vista di un nuovo assalto, conscio comunque di poter agire da un avamposto privilegiato, quello di leader dell’opposizione, di fatto, dentro un’Ars in cui De Luca sperava, però, di entrare in modo diverso.
Secondo il piano A, inutile dirlo, da governatore. Secondo il piano B, da determinante ago della bilancia in un’assemblea regionale che, nelle sue previsioni, non avrebbe contemplato una maggioranza consolidata. E invece dalle urne una maggioranza è venuta fuori e, teoricamente, il “peso” di chi da quella maggioranza è fuori si è drasticamente alleggerito. In più occasioni De Luca ha giocato a fare il veggente, lanciandosi in profezie numeriche e politiche: dal 41% più Iva (cioè i transfughi da altri partiti, sulla scorta del “modello” messinese) al superamento di Schifani in corsa. A volte erano provocazioni, altre erano previsioni di chi credeva davvero in ciò che diceva.
Lunedì pomeriggio uno suo fidato collaboratore rievocava Pietro Nenni e il suo “piazze piene, urne vuote”. Nessuno ha girato le piazze siciliane (quasi 400, in un tour infinito) come ha fatto De Luca, nessuno ha investito tempo e soldi (tanti soldi) quanti ne ha investiti De Luca, nessuno ha lavorato a questa campagna elettorale con così tanto anticipo – forse da sempre, verrebbe da dire – come ha fatto De Luca. E nessuno, ma questo non fa più notizia, ha alzato i toni come ha fatto De Luca, alternando pose da veterano degli amministratori a caciare da suburra, attaccando la stampa o lapidando l’avversario di turno, conscio che col popolo la formula panem et circenses funziona sempre.
Si sapeva, era la sua giocata d’azzardo più ambiziosa, al punto da lasciare anticipatamente la fascia tricolore di Messina, perché come gli squali sentono l’odore del sangue, l’animale politico-elettorale De Luca aveva sentito che questo era il momento giusto, e quando col minimo sforzo ha preso tutto quello che c’era da prendere a Messina, piazzando come successore qualcuno che, fino a quel momento, era poco conosciuto al grande pubblico, ha avuto la conferma che cercava.
Qualcosa è cambiato con le dimissioni di Draghi prima e quelle di Musumeci poi. La strategia è stata rivista in corsa, l’election day, al di là delle dichiarazioni di rito, De Luca e soci se lo sarebbero volentieri evitato. Un cambiamento forzato di rotta, tanti saluti a “Jeeg Robot” Giarrusso e a Sgarbi e via da soli, a Roma e a Palermo, raccogliendo adesioni in tutta la Sicilia, stringendo accordi, aprendo orizzonti e creando aspettative che oggi, in buona parte, non potranno essere soddisfatte.
Ecco perché De Luca, pur avendo vinto, si sente sconfitto. La medaglia d’argento, per un finalista di coppa dei campioni, non avrà mai il sapore dolce di una vittoria sfiorata, ma quello acre di una cocente delusione arrivata proprio sul più bello.
Adesso si apre una fase nuova, diversa, ignota per certi versi. Dal palco di Fiumedinisi De Luca lo ha detto chiaramente, lanciando messaggi precisi a tutti, in primis alla sua squadra. «Certi risultati – ha detto – richiedono dei grandi sacrifici, e dobbiamo imparare a farli tutti, i sacrifici. Con me chi pensa di campare di rendita sbaglia». E ancora, alla “sua” Giunta: «Non accetto cali di tensione, quando le elezioni le vincerete da soli non dirò più cose del genere, ma adesso avete una grossa responsabilità». Poche parole per buoni intenditori presenti in piazza, altri meno presenti, forse, in queste settimane. De Luca si ferma ed è pronto a ripartire. Ma la sensazione è che da oggi nulla sarà come prima.

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