La storia insegna. O, forse, è l’esatto contrario. E le lezioni che arrivano dal passato, spesso, vengono del tutto ignorate. Le Amministrative a Messina, svoltesi negli anni precedenti, quanto meno le ultime due (quella del 2013 e quella del 2018), dimostrano un dato incontrovertibile: in quelle competizioni ha vinto chi si è preparato prima degli altri, chi è entrato nell’agone pre-elettorale con idee chiare, progetti già pronti, con candidati e liste definite.
Riavvolgiamo il nastro, per un momento. È il 2013. Quando, nel mese di gennaio, Renato Accorinti, sospinto da movimenti e associazioni, annuncia la propria candidatura, nessuno lo prende sul serio, si sprecano sorrisi e pacche sulle spalle, come a dire “ma questo insegnante di Educazione fisica, noto per il suo impegno anti-militarista e “no-pontista”, che speranze ha? Ma sì, facciamolo giocare al “Don Chisciotte...”. Il Centrosinistra, all’epoca, sembrava l’invincibile “macchina da guerra” evocata da Occhetto (il segretario che sciolse il Pci), il leader era Francantonio Genovese. Per mesi si disse che il candidato sindaco sarebbe stato Beppe Grioli, allora segretario cittadino dei “democrat”, ma Genovese impose il nome dell’avvocato Felice Calabrò, allora attivissimo consigliere comunale di opposizione. Nel Centrodestra, nel frattempo, si rinunciò quasi a combattere, dopo una serie di profonde divisioni e fratture interne. Sappiamo tutti come è andata a finire. Calabrò non vinse al primo turno per una manciata di voti e, al ballottaggio, il pacifista dai piedi scalzi e dalle magliette “No Ponte” e “Free Tibet”, si trovò a festeggiare in piazza, in quella caldissima notte del 24 giugno 2013.
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