È un treno che corre su due binari paralleli. Da un lato, il tema del confronto spostatosi a livello nazionale, sulla legge speciale per Messina, sui poteri da affidare al commissario governativo e sull'entità delle risorse da stanziare per arrivare al traguardo del “baracche zero” che dovrebbe essere l'obiettivo prioritario di un'intera città, al di là delle logiche di schieramento e delle bandierine di partito. Dall'altro lato, i problemi vissuti “sul campo” e le azioni che si stanno portando avanti e che andranno sempre più intensificate nei prossimi mesi.
Le baraccopoli messinesi sono uno dei fronti più “a rischio”, e per questo anche più monitorati, in questa delicatissima fase della nuova (prevedibile, anzi inevitabile) emergenza sanitaria legata alla diffusione dei contagi da Covid-19. In questi agglomerati urbani, in queste “casbah” attraversate da minuscole vie, in questo intrecciarsi di muri sbrecciati e tetti in eternit, non ci si può permettere il lusso che la pandemia prenda piede. Se qui scoppiasse un focolaio, la situazione sarebbe particolarmente grave, sia per le condizioni di degrado in cui migliaia di persone vivono, sia per l'impossibilità di rispettare le regole del distanziamento sociale (in alcune baracche risiedono decine di persone) sia per la fragilità della gran parte degli abitanti (anziani, donne incinte, bambini, soggetti con serissime patologie, aggravate spesso dalla “convivenza” in ambienti insalubri e a contatto con le pericolosissime fibre d'amianto).
L'Amministrazione comunale e l'Agenzia del Risanamento, così come avvenne nella scorsa primavera, hanno cercato di adottare tutte le misure possibili in termini di prevenzione. Ricordiamo le dichiarazioni del sindaco Cateno De Luca: «Sono pronto in qualunque momento a intervenire con ordinanze di sgombero e di trasferimento in altri luoghi della popolazione che vive in baracca». Per questo, già due anni fa, il primo cittadino aveva chiesto i poteri speciali, perché la favelas in riva allo Stretto, oltre che un problema sociale e abitativo che si trascina da decenni, costituiscono un'emergenza igienico-sanitaria tale da imporre soluzioni altrettanto rapide e incisive.
«Aspettando la legge nazionale e nonostante il Covid - afferma il presidente di A.Ris.Me Marcello Scurria -, continuiamo a salvare famiglie da una gravissima situazione di degrado, potendo contare soltanto sul lavoro e sulle nostre risorse finanziarie». Scurria ha accompagnato le 10 famiglie della baraccopoli dell'Annunziata Alta nell'ormai consueto “giro” per la scelta degli allotti ad esse destinati. Quello che è avvenuto nelle scorse settimane per i nuclei familiari di Salita Tremonti e di Via Macello vecchio, sotto l'arco di Cristo Re. «Oltre 30 persone - aggiunge il presidente dell'Agenzia del Risanamento - potranno iniziare a vivere in un alloggio dignitoso e iniziare un nuovo percorso di vita». E la macchina organizzativa è pronta per la grande sfida di dicembre, quando anche le famiglie di Fondo Fucile dovrebbero avere assegnata la sistemazione attesa da decenni. Sarebbe uno dei passi più importanti compiuti negli ultimi decenni, che aprirebbe la strada, all'inizio del 2021, alla demolizione della più grande delle baraccopoli rimaste in piedi a Messina.
Novembre e dicembre, dunque, sono mesi decisivi, sia per quello che si sta verificando “sul campo” sia per quanto accadrà a Roma, dove è in corso l'iter parlamentare per la legge sullo sbaraccamento di Messina. Al di là dei punti di vista contrapposti e delle tensioni esistenti (confermate dallo scontro televisivo, andato in onda venerdì sera su Rtp, durante la puntata di “Scirocco”, tra Marcello Scurria e il deputato del Pd Pietro Navarra), l'auspicio è che davvero, al termine del ciclo di audizioni programmate, si possa arrivare a un testo di legge unico e condiviso, da far votare prima che finisca questo “annus horribilis”.
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