Emergenza sanitaria e socio-ambientale: la Giunta Musumeci dovrebbe esitare un provvedimento storico per la città di Messina. Si tratta dell’approvazione della richiesta avanzata dal sindaco Cateno De Luca per la dichiarazione dello stato di emergenza, che verrà poi decretato dal Consiglio dei ministri, su proposta del Dipartimento della Protezione civile nazionale. L’impegno del presidente della Regione e dell’assessore alle Infrastrutture Marco Falcone non sembra lasciare dubbi sulle intenzioni del Governo siciliano di fornire un supporto concreto all’azione amministrativa del Comune e della nuova Agenzia per il risanamento e la riqualificazione urbana.
Potrebbe essere un evento storico quanto quello che portò all’approvazione da parte dell’Ars della legge 10 del 1990. Anche allora ci fu un presidente della Regione, che ai tempi era Rino Nicolosi, che raccolse il “grido di dolore” di un’intera città che chiedeva interventi rapidi ed efficaci per l’eliminazione della secolare vergogna messinese delle baracche. Nel 1989 effettuò un sopralluogo nelle “favelas”, poi portò la drammatica questione in Giunta, quindi con un accordo tra i partiti allora dominanti, la Dc e il Psi, ma con il contributo fattivo della principale forza di opposizione (il Pci), si giunse alla stesura di un atto normativo “rivoluzionario”: una legge ad hoc per la città di Messina. Una sorta di risarcimento per i soldi sottratti dallo Stato al nostro territorio subito dopo il 1908.
Di buone intenzioni, però, sono lastricate le vie dell’inferno. Quella legge fu salutata come un evento spartiacque, come la soluzione definitiva al problema delle aree degradate, inserite in sette ambiti di risanamento, ognuno dei quali oggetto di un Piano particolareggiato al quale lavorarono schiere di architetti, urbanisti, ingegneri e geometri, nel più imponente sforzo di progettazione fatto a Messina fino ad allora. Ma paradossalmente proprio quella legge, quella cornice così ampia, quella visione che avrebbe dovuto proiettare la città in un’altra dimensione, recuperando tutte le sacche di degrado, divenne una “camicia di forza”. Tutto doveva passare dalle maglie di quella “leggina”, tutto correva sul filo dei rapporti tra Comune e Iacp, tutto finiva con l’impantanarsi nella palude di conflitti di competenza, di rimpalli di responsabilità, di opprimente burocrazia.
Basta rileggere le cronache del nostro giornale. Le ultime grandi vere operazioni di sbaraccamento furono realizzate nel 1978 (in varie zone della città) e nel 1988-89 (lungo il torrente San Filippo liberato dalle costruzioni per far spazio allo stadio e al nascente polo sportivo), cioè prima dell’entrata in vigore della legge. Da 28 anni a questa parte le ruspe entrate in azione si contano sulle dita di una mano. E l’intervento più importante, anche dal punto di vista simbolico, è stato reso possibile non dalla legge 10 ma dall’accelerazione dovuta alle decisioni della Procura della Repubblica di sequestrare un’intera “favela”, quella delle ex Case Volano del rione Magnolia a Giostra. Senza poteri speciali, una legge ordinaria basata sull’emergenza non può cogliere i propri obiettivi. La storia della legge 10 lo conferma amaramente.
E così ora comincia un’altra sfida, delicatissima, quella avviata dal sindaco De Luca, con le sue ordinanze di sgombero e demolizione entro la fine dell’anno di oltre 2400 baracche, e la richiesta della dichiarazione dello stato di emergenza. Un’emergenza sanitaria, legate alle condizioni di assoluta di invivibilità e alla presenza di ben 60 mila metri quadri di coperture in eternit, quelle fibre di amianto killer che migliaia di cittadini inalano ogni giorno nei loro polmoni, finendo col provocare casi (uno è stato già accertato a Fondo Fucile) di asbestosi. Un’emergenza sociale e ambientale, perché in ogni baraccopoli questi aspetti non possono essere disgiunti tra loro e mettere mano a questa sfida significa anche riportare pezzi di territorio nell’alveo delle regole del vivere civile, senza più “enclavi” di caos urbano e di illegalità
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