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Donne e scienza, stereotipi da abbattere: menti brillanti e scoperte eccellenti di cui non possiamo privarci e il "primato" all'Unime

In prima pagina sull'inserto Noi Magazine l'impegno per l'accesso paritario alle materie Stem, con le ordinarie in Geofisica più giovani d'Italia e la "rivelazione" sul sisma del 1908

Promuovere un accesso “pieno e paritario alla partecipazione alla scienza per donne e ragazze”. È lo scopo della Giornata internazionale istituita nel 2015 dall'Assemblea generale delle Nazioni Unite, fissata l’11 febbraio per riconoscere “il ruolo fondamentale che le donne e le ragazze svolgono nella scienza e nella tecnologia”, e successivamente sostenuta dall’Ente delle Nazioni Unite per l'uguaglianza di genere e l’empowerment femminile (UN Women), con l’UNESCO.

Una ricorrenza che nasce dalla constatazione di una gravissima disparità, quella nell’accesso femminile alle materie STEM, e dalla volontà di studiarne le cause per rimuoverle, alla luce della consapevolezza, piena e finalmente condivisa, dell’importanza del contributo al progresso scientifico da parte delle donne. E non in quanto esseri umani di genere femminile, ma in quanto menti brillanti capaci di scoperte eccellenti, delle quali è intollerabile privarsi, soprattutto per motivazioni ridicole.

I divari si registrano in tutto il percorso, da quello scolastico a quello accademico, sfociando poi nell’ambito della ricerca e del lavoro: alla base, sostanzialmente, stereotipi di genere - sulla maggiore o minore “predisposizione” per le materie scientifiche o per quelle umanistiche in base al sesso biologico - del tutto infondati ma ancora potenti, al punto da riuscire a condizionare scelte e carriere, e continuamente rinforzati da tutti gli elementi che, nell’assetto sociale globale, concorrono a rendere la vita difficile alle donne, limitandone la piena e libera affermazione personale e professionale.

L’accesso egualitario delle donne alla scienza è, dunque, un tema prioritario e non “solo” per questioni teoriche di principio, di parità e giustizia sociale, ma per ragioni pratiche, di utilità, di risultato. E alla promozione di questi concetti sono chiamati innanzitutto gli ambienti in cui si costruisce il bagaglio culturale individuale: la Scuola e l'Università. La prima, luogo fondamentale in cui aspirazioni e desideri possono essere coltivati, o inariditi. La seconda, danneggiata dalle conseguenze dei divari, ma in possesso di strumenti particolarmente incisivi per rimuoverli, attraverso attente politiche di divulgazione e di promozione della ricerca e delle carriere.

Tra gli Atenei particolarmente impegnati sul fronte delle politiche di genere, tra le priorità della rettrice Giovanna Spatari, c'è l'Ateneo di Messina, dove, ad esempio, un team tutto al femminile guida la ricerca in Geofisica. Debora Presti e Barbara Orecchio sono le più giovani professoresse ordinarie in Italia nel settore della Geofisica, Cristina Totaro è la ricercatrice che ha avviato e sviluppato le prestigiose collaborazioni del gruppo con la Columbia University e la Russian Academy of Sciences.

Una passione ben alimentata

Debora Presti, 48 anni, è nata a Roma dove ha vissuto per un brevissimo periodo prima che la famiglia, di origini siciliane, si trasferisse a Milazzo, dove lei vive tutt’oggi.

«Ho sempre avuto la passione per la scienza - racconta - un interesse che è stato alimentato da bravi docenti durante tutto il percorso di studi. Dopo il liceo scientifico ho scelto di iscrivermi a Fisica all’Università di Messina. Un percorso condiviso con un gruppo di colleghi non numeroso ma fortemente motivato, composto per circa la metà da ragazze, molte delle quali hanno poi proseguito una carriera coerente con il percorso di studi intrapreso. Nel 1997 ho scelto di seguire l’indirizzo di Geofisica che il corso di laurea proponeva. Tale scelta fu ulteriormente motivata dal verificarsi del terremoto che colpì l’Umbria e le Marche nell’autunno di quell’anno. L’Università di Messina offriva un’eccellente formazione nel campo della sismologia». La tesi di laurea fu incentrata sui processi deformativi precedenti i forti terremoti con un focus sul terremoto di Messina del 28 dicembre 1908. «Dopo la laurea - prosegue - ho deciso di continuare con la ricerca, consapevole delle difficoltà di chi intraprende questa strada in Italia, spesso caratterizzata da lunghi periodi di precariato. E così è stato. Ho conseguito il Dottorato di Ricerca in Geofisica presso l’Università di Messina dove ho prevalentemente svolto l’attività di ricerca, con intervalli presso altre istituzioni di ricerca italiane, (Università di Roma Tre, Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia - sede di Napoli) ed estere (Università del Winsconsin - Madison). Durante gli anni del Dottorato ho ricevuto una interessante proposta di lavoro presso un’importante azienda siciliana di microelettronica, ma ho scelto di continuare a fare ricerca. Dopo diversi anni, e diversi concorsi, ho ottenuto la posizione di docente presso l’Università di Messina».

A Messina una felice eccezione

«Il team di geofisica dell’Università di Messina - spiega la prof.ssa Presti - costituisce una testimonianza tangibile del forte impegno dello stesso ateneo nel perseguire e promuovere l’uguaglianza di genere in seno alla comunità accademica e sul territorio. Tale percorso si distingue come un’eccezione in un panorama nazionale ancora largamente segnato da un significativo divario di genere. Sebbene la presenza femminile nelle geoscienze abbia registrato alcuni progressi negli ultimi anni, la disparità resta ancora evidente, come dimostra il rapporto di 3:1 tra docenti universitari uomini e donne nel campo della geofisica. Questo squilibrio si riflette anche nel numero di studenti iscritti alle geoscienze», sottolinea ancora la docente che è, tra l’altro, presidente del Corso di Laurea Magistrale Unime in Geophysical Sciences for Seismic Risk.

«Il corso attira particolarmente - spiega - studenti provenienti da paesi ad elevato rischio sismico offrendo una formazione avanzata in geofisica, con un’attenzione specifica allo studio dei terremoti ad ai rischi connessi. In questo contesto, le docenti di Geofisica, in collaborazione con altri professori e professoresse Unime altamente qualificati, formano con entusiasmo e passione studenti e studentesse che, lasciati i loro paesi di origine per acquisire competenze avanzate a Messina, una volta laureati si distinguono nel conseguire successi e posizioni nel campo della ricerca e nelle professioni».

Non sempre occorre emigrare

«Contrariamente a quella che può essere una percezione comune - ribadisce la docente - è possibile ottenere importanti risultati nel campo delle discipline scientifiche senza abbandonare il proprio territorio. La tenacia, la passione, lo spirito di sacrificio e l’impegno a migliorarsi sempre rappresentano i requisiti necessari per conseguire gli obiettivi più importanti. Per donne e uomini».

Serve dunque, ancora, raccontare esperienze luminose di “donne nella scienza”. Quando barriere, diffidenza e stereotipi saranno superati, allora potremo parlare semplicemente di “cervelli”, a prescindere dal genere.

Le scoperte e le pubblicazioni: la frana sottomarina del 1908

Laureate in Fisica, le professoresse Debora Presti, Barbara Orecchio e Cristina Totaro hanno sviluppato il loro percorso accademico e scientifico all’Università di Messina, arricchendolo con esperienze di ricerca in vari istituti italiani ed esteri. Tra i risultati più significativi, la scoperta che una frana sottomarina, sviluppatasi al largo di Taormina immediatamente dopo il terremoto del 1908, contribuì in modo determinante a causare il maremoto che, insieme al terremoto stesso, devastò l’area dello Stretto. Lo studio, pubblicato dall'American Geophysical Union, ha gettato le basi per una nuova concezione dei rischi legati ai maremoti in Sicilia. Di grande impatto anche la ricerca, diffusa su Scientific Reports Nature, che ha portato all’individuazione di volumi crostali ricchi di gas sotto il settore centrale delle Isole Eolie in un’area notoriamente esposta a forti degassamenti e a violenta attività esplosiva. Recentissimo lo studio, pubblicato su Nature Communications, che ha fornito nuove importanti conoscenze sulla Faglia Est Anatolica responsabile dei due devastanti terremoti che hanno causato circa 50.000 vittime tra la Turchia e la Siria nel 2023.

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