«Preoccupante il diffondersi del consumo di alcool e di droghe, vecchie e nuove, anche tra i giovanissimi. Comportamenti purtroppo alimentati dal web che propone sovente modelli ispirati alla prepotenza, al successo facile, allo sballo».
Sono le parole con cui il presidente della Repubblica Sergio Mattarella, nel messaggio di fine anno, ha autorevolmente espresso un allarme diffuso, per una realtà che si sottovaluta, credendola lontana quando invece fa parte della quotidianità di ragazze e ragazzi. Ne parliamo con un esperto, il dott. Emanuele Scafato, direttore dell’Osservatorio Nazionale Alcol dell’Istituto Superiore di Sanità, già ospite della GDS Academy.
Bassa percezione del rischio
«Parlare di bambini, adolescenti, giovani e dipendenze nel 2025 - afferma - è confrontarsi con una dimensione per certi versi marginale sino a venti anni fa e che, invece, anno dopo anno e ogni giorno evolve rapidamente e, purtroppo, quasi mai intercettata precocemente o comunque in un momento di esordio, che è un dovere garantire a tutela del diritto della salute mentale e complessiva di troppi minori e giovani. I quali quasi sempre scelgono senza conoscere, senza avere gli elementi culturali e cognitivi in grado di proteggerli da rischi la cui percezione è fisiologicamente bassa sino ai 21-25 anni». «È nei fatti - ribadisce - che lo sviluppo del cervello tra i 12 e i 21 rappresenta un delicato quanto prezioso periodo di maturazione delle capacità di valutazione, logica, programmazione e soprattutto controllo tipici di un adulto sano che le neuroscienze indicano come estremamente vulnerabile all’uso di bevande alcoliche e di sostanze illegali, prima tra tutte la cannabis insieme alla cocaina e alle droghe “furbe” di vasta, difficilmente controllabile, diffusione nei luoghi di aggregazione giovanile».
Pericolosa “normalizzazione”
«Può sembrare strano - chiarisce l’esperto - parlare in famiglia e nelle scuole di dipendenze in presenza di una normalizzazione sociale del bere e del farsi le “canne” che affronta da parte della prevenzione il grosso limite della sottocultura basata sulla disinformazione e sulle fake news, quelle che “il vino fa bene” o che “bevi birra e campi cent’anni” per arrivare a “tutti l’abbiamo fatto…” con il quale alcuni genitori si confrontano in una dialettica che nasce viziata da una sostanziale mancanza di “health literacy”, le conoscenze sulla salute e sull’impatto di fattori di rischio legati a comportamenti che gli adulti agiscono e legittimano, trasmettendo spesso ai giovani un messaggio ambiguo, di cui gli stessi sono vittime nella erronea percezione che possano essere comportamenti imitabili perché “se lo fanno loro…” allora è normale».
Senza cultura c’è dipendenza
«Ma è proprio su queste tragiche evidenze di una società in cui un italiano su tre non è in grado di comprendere il significato di un testo, che la cultura della dipendenza si insinua e travolge milioni di giovani che vivono il disagio di una società non inclusiva, marginalizzante, specchio riflesso dei social network in cui si può essere “altri”. Scatenando condotte che hanno connotazioni di trasgressione, di protagonismo, di “sballo” attraverso la canalizzazione dei problemi familiari, di relazione, scolastici, affettivi verso comportamenti che si dimostrano trappole peggiori della problematica di base». Si determina quindi una dipendenza «da tutto ciò che rende “addictus”, schiavo, dipendente da un effetto che si va a ricercare con sempre maggiore intensità e frequenza per ovviare alla crisi di astinenza che non è solo quella da alcol e sostanze, dalle droghe, ma è anche grottescamente da quelle forme di finta relazione che sono i social network, internet, i videogames, il gioco d’azzardo, dalla ricerca del piacere, di sollievo dal “male di vivere” in tutte le sue forme che è tanto più difficile da sradicare quanto più gli adulti e le istituzioni competenti non svolgono il loro ruolo di ascolto costante, volto a intercettare una richiesta di aiuto, quasi mai espressa esplicitamente».
“Accompagnare” i giovani
«È venuta meno - ammonisce il dott. Scafato - la funzione di accompagnamento dei minori, degli adolescenti, dei giovani in un mondo di vecchie e nuove insidie, che viaggiano alla velocità della luce lì dove gli adulti e le istituzioni sono al palo, incapaci di comprendere i veloci cambiamenti che l’internazionalizzazione dei rischi rende drammaticamente incidenti in un click su una tastiera, in un contatto su una chat, in un sito web per adulti dove sei adulto a prescindere dalla risposta incontrollata che fornisci. Nascono così i rischi del dark web dove compri di tutto, rischi di tutto e nessuno in casa può immaginare cosa possa avvenire in una cameretta dove si dovrebbero vivere gli anni più bella di un’esistenza che ha imparato in piena, incontrollata autonomia a esercitare il “risk taking”, sia esso legato all’uso di alcol o di sostanze procurate illegalmente, tipiche di intere “generazioni chimiche” impegnate e poi obbligate a garantirsi il doping quotidiano. Perché la società ti vuole al massimo, esagerato per stupire, prestante per non deludere, ansioso per l’esigenza di esserci, di essere cool e trendy, di tendenza».
Alcol, ma anche “like”
«Giovani e meno giovani - rimarca ancora l’esperto dell’ISS - abusano non solo della sostanza psicoattiva più disponibile, l’alcol, ma anche delle possibilità offerte dalla rete, il meeting place che tutti bene o male hanno preso l’abitudine di frequentare, per condividere esperienze, sensazioni, persino costruendo ricordi sotto l’uso di sostanze o attraverso le emozioni tipiche dell’azzardo, in un contesto in cui si sviluppa il delirio dell’estremo che spinge a sperimentare il limite, dinanzi alla platea virtuale e indefinita di cibernauti per un “like”, un “mi piace” sui social network, surrogato dell’apprezzamento desiderato e non ricevuto». «Nascono così le solitudini che inseguono nel gioco online l’illusione di un riscatto in una “second life”, una rivincita e comunque un progetto di esistenza virtuale alternativa a quella troppo vuota o noiosa o soffocante, con poca prospettiva che la società consegna come gabbia dorata, simulando un benessere che non c’è».
Innalzare gli argini
«Famiglia, scuola, gruppo di pari, istituzioni possono evitare il senso di inadeguatezza che spesso spinge giovani inesperti a rischiare, a soddisfare l’esigenza di essere riconosciuti come persone, pur adolescenti, da accettare con le tante piccole grandi fragilità che possono trasformare ciò che è percepito come una debolezza in un dramma. Contesti familiari, sociali e circostanze di aggregazione giovanile che non sanno proporre valori alternativi all’intossicazione, allo sballo, al superamento del limite non contribuiscono a liberare i nostri giovani dalle pressioni al bere, al fumare cannabis, a svapare, a fare uso di sostanze illegali, a giocare d’azzardo o a isolarsi in una bolla di anoressia sociale (hikikomori) fatta di una realtà virtuale, di chat, di videogiochi, di shopping compulsivo online, di dipendenza da siti porno, di disturbi alimentari e dell’umore, dalle sempre più crescenti psicosi, sindromi dissociative, depressive o ossessive spesso slatentizzate dalle sostanze assunte in contesti o circostanze troppo tardivamente individuate».
“Responsabilmente”? Non basta
«Poco o nulla si fa per contrastare e regolamentare le pressioni sociali, mediatiche e commerciali favorite dalla logica delle convenienze che legittimano la promozione di modelli come quello del bere obbligatoriamente a rischio - le ore felici, le “happy hours” - e che si pensa possano cavarsela con un “Bevi responsabilmente” o “Gioca responsabilmente”, ignorando l’uso implicitamente confondente dell’imperativo categorico che non consente alternative virtuose e dell’abuso del richiamo ad una responsabilità che matura solo a 24 anni, con la maturazione della corteccia prefrontale». «Il mondo liquido costruito dall’industria intorno ai giovani non costruisce realtà di benessere ma debolezze; così come l’alcol. Il mondo “fumoso” di sigarette e cannabis espone precocemente i minori a rischi i cui costi superano i ricavi, costi pagati dalla società; la tecnologia propria del mondo digitale è ulteriore causa, canale e denuncia di tali debolezze. La società sta costruendo generazioni più deboli del passato evitando di cogliere per tempo i segnali ai quali gli adulti, le agenzie educative, le istituzioni hanno il dovere di porre rimedio e porgere il supporto indispensabile affinché si possano recuperare dignità e prospettive, insieme ai valori di vera indipendenza dai modelli comportamentali di cui la società e non i nostri giovani sono responsabili. Le dipendenze sono un fallimento della società, quelle dei giovani una tragedia evitabile con l’impegno alla promozione di stili di vita salutari insegnati attraverso l’esempio e la tutela, l’ascolto ma anche il controllo a garanzia della sicurezza personale e dei terzi, ricordando e insegnando ai nostri giovani che esiste un modo migliore di vivere».
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