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Pollini, l'inarrivabile gigante del pianoforte in concerto a Messina mercoledì. L'INTERVISTA

Genitori: "Interprete rigoroso, il suo Beethoven è senza pari"

Maurizio Pollini. Il grande artista manca da Messina da quasi 50 anni

Il recital di Maurizio Pollini, mercoledì prossimo alle 21 al teatro Vittorio Emanuele è evento che non è eccessivo definire storico. Il grande pianista milanese manca da Messina da quasi 50 anni: mezzo secolo in cui la sua fama lo ha definitivamente consacrato tra i massimi interpreti al mondo dal secondo dopoguerra ai giorni nostri. Di un artista così grande abbiamo parlato con Lorenzo Genitori, docente di pianoforte al conservatorio “Corelli”, manager dello spettacolo e per 15 anni direttore artistico per la sezione musica del Teatro messinese.

Maestro Genitori, in un saggio di trent’anni fa Piero Rattalino scrisse di Pollini: «Per lui tutta la musica sta diventando romantica: penso che si tratti di un ulteriore passo in avanti del suo umanesimo, che da sempre cerca di cogliere valori metastorici in tutta la musica che interpreta, da Bach fino a Boulez, Stockhausen e Nono». Per Rattalino, una sorta di anti Gould, insomma. Che ne pensa?
«Mi permetto, con tutta l’umiltà possibile, di dissentire dal grande Rattalino. Quando si ascoltano le sue Polacche, per esempio, la mia impressione è proprio opposta: che egli riesca a far apparire anche Chopin uno strutturalista. Nessuna concessione al lirismo posticcio così frequente, ma sane e solide letture all'insegna della meta-interpretazione: rilettura delle letture precedenti».

Che posto occupa secondo lei Pollini nella storia dell’interpretazione del repertorio suo prediletto, l’Ottocento e il romanticismo?
«Pollini è un gigante: un artista che ha affrontato praticamente tutti i repertori -ivi compresi quelli punitivi degli anni Settanta del secolo scorso - leggendoli con un’accuratezza e un’intelligenza assolute. Ha sicuramente proiettato su quasi tutti gli autori il suo cartesianesimo interpretativo: ma il compito dell’interprete è proprio quello di proporre la propria comprensione di un testo, anche e soprattutto deviando dal mainstream».

Repertori “punitivi”, lei dice, e non si potrebbe essere più d’accordo. Quindi anche secondo lei l’onore e la “legittimazione” dell’interpretazione di un Pollini, o dell’amico Claudio Abbado, altro mostro sacro, divisivo come lui, non ha avuto forza di qualificare come “musicali” operazioni che forse erano altro.
«Ma certo. Ciò è avvenuto fino a quando la temperie politico-culturale l’ha consentito. Dopo di che, la Storia fa giustizia».

Dovesse mettere l’arte di Pollini in una simbolica navicella spaziale, per serbarla all’eternità, sceglierebbe l’integrale di Beethoven o quella di Chopin?
«L’integrale beethoveniana: e, al suo interno, le ultime cinque Sonate, che raggiungono vertici di lucida coerenza ad oggi, a mio avviso, inarrivati. Lì si toccano contemporaneamente cuore e cervello, proprio in virtù di questo inflessibile rigore, di questo affetto per il particolare che significa rispetto ed empatia».

Proprio delle ultime cinque Sonate di Beethoven, a Messina il maestro affronterà la n. 28 in La maggiore op. 101 e la n. 29 in Si bemolle maggiore op. 106 “Hammerklavier”. Pagine monumentali, specie la seconda, ancor più per un esecutore di 79 anni.
«La cifra interpretativa di Pollini attorno a questi numeri è ormai nota, poiché egli le ha già interpretate in pubblico altrove: aspettiamoci una visione più intimista, più crepuscolare, che sostituisce al titanismo hegeliano l’intimismo di Schopenauer, e guarda più a Prometeo che a Giasone».

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