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Lunfardo e tango, i gemelli diversi nel libro della prof messinese Mariagrazia Panagia

Una lingua che non è una lingua, un dialetto che non è un dialetto. E una danza che non è solo una danza. Sono il «lunfardo» e il tango, gemelli diversi con la stessa data di nascita, la seconda metà dell’Ottocento, la stessa culla, l’Argentina che, sotto una formidabile ondata migratoria dall’Europa e dall’Italia, in pochi anni cambiava volto.

Lunfardo e tango condividono la stessa storia di «migrazioni, linguaggi e musica»: ce lo racconta con passione il libro, appena uscito per Pungitopo, della professoressa messinese Mariagrazia Panagia. Un libro che è una costola della sua tesi di dottorato, discussa nel 2022 all’Università di Granada, ma è soprattutto sintesi d’una vita di ricerche che corre parallela a una vita di passione per il tango e la sua cultura, di cui Panagia, che insegna lingua e letteratura spagnola a Messina, ma ha studiato e insegnato in Spagna e Gran Bretagna, è antica sostenitrice e protagonista.

Arrivavano da ogni dove, i migranti (migrare è la storia dell’umanità, dopotutto), nell’Argentina in cerca di braccia da lavoro: s’imbarcavano coi loro strumenti (la chitarra, il violino, il flauto, un po’ più tardi quel prodigio che è il bandoneon), con le loro nostalgie, coi loro dialetti, e cercavano posto nel Nuovo Mondo. Lo trovarono a Buenos Aires, sulle rive del Rìo de la Plata, a Rosario, a Santa Fe. Dove anche i gauchos si spostavano dalle campagne alle città; dove c’erano i discendenti di quegli schiavi strappati all’Africa, che avevano portato con sé danze e lingue e ritmi. Da tutti questi movimenti, da quest’enorme melting pot vennero fuori non solo nuove economie e boom demografici: germinarono parole per comprendersi, mescolando i dialetti, e musiche per farsi compagnia, mescolando tradizioni, generi, strumenti, sonorità.

Chiamiamo «lunfardo» quel corpus di parole, molte ancora in uso (berretín, chapar, lungo, mina, pibe, salame), nato allora, assieme e dentro al tango, l’altro miracoloso prodotto umano di risposta al dolore e alla nostalgia, che ancora oggi ci affascina con musiche e movenze codificate molti molti anni fa. Panagia racconta questa costruzione doppia e reciproca, e la insegue tra i testi di alcuni dei tanghi più significativi della tradizione (oltre che in un prezioso “Dizionario etimologico” finale). Anche dopo quel periodo magico e aurorale: quando venne il tempo della chiusura, della dittatura, della censura. Ma ormai era fatta: lunfardo e tango univano gli uomini e le donne, e continuano a farlo, col loro misterioso potere.

L’autrice ne parlerà coi lettori oggi alle 17,30 alla Mondadori Bookstore di Messina. La cantautrice e bandoneonista Merlina Illundain eseguirà alcuni brani.

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