Torna nelle stanze del passato Elena Magnani, scrittrice genovese (ma vive da anni nell’alta Garfagnana) che ama incontrare i mondi con la scrittura, grazie alla quale disegna le mappe del suo viaggio narrativo. E, dopo la Toscana e la Val Serchio di «La segnatrice», romanzo ambientato nel tempo della Resistenza, e di «Luminescenze», una storia di amicizia e di morte, dopo la Belfast del conflitto nord-irlandese di «Come il cielo di Belfast», si misura con il terremoto di Messina del 1908 immergendosi nelle tenebre di quei giorni con «Mare avvelenato. La saga della famiglia Mazzeo» (Giunti, con cui l’autrice ha anche pubblicato il suo primo romanzo per ragazzi, «Scorza, Sibilla e i Guardiani della Terra», uscito nel maggio scorso), che sarà presentato oggi alle 18 alla libreria Bonanzinga di Messina: l’autrice dialogherà col pubblico. Un romanzo, «Mare avvelenato», titolo che cita i celebri versi quasimodiani: «Il terremoto ribolle/da due giorni, è dicembre d’uragani/ e mare avvelenato», riportati in esergo dalla Magnani, che sfida l’indicibilità di quella immane tragedia, con la quale si sono misurati altri scrittori, per lo più messinesi, perché le storie si pensano tra di loro: Mario Falcone con «L’alba nera» (Fazi, 2008), Nadia Terranova con «Trema la notte» (Einaudi, 2022), Marosella Di Francia e Daniela Mastrocinque con «La donna che visse nelle città di mare» (Giunti, 2023). E «Mare avvelenato», come scrive l’autrice, nasce dalla suggestione dei racconti dei suoi nonni messinesi Anna Luisa Greco e Santi Todaro, racconti di fatti reali e di personaggi veramente esistiti che danno forza ad altri realistici ma di finzione. La scena incipitaria si apre sul sogno-incubo del giovane Tomaso Mazzeo, uno «spirito tintu», malvagio, capace di «fascinare» e «far marcire» chiunque incontri, come gli ha predetto la levatrice che lo ha fatto nascere, perché ha soffocato il gemello con il cordone ombelicale. E un destino di morte sembra incombere sulla famiglia Mazzeo: il padre e lo zio uccisi per motivi oscuri; la piccola Rosetta, la sorellina, vinta dalla malattia. Ma Tomaso, “Maso” per tutti, è l’immagine stessa della resistenza e così gli basta incontrare per strada due occhi neri penetranti e meravigliarsi ogni mattina per la bellezza di Messina per far svanire i pensieri “tinti”. Per guadagnarsi la vita e provvedere alla madre e al fratellino, Tomaso si divide tra il lavoro al porto e quello di capraio, ma prima la famiglia Mazzeo viveva in una bella casa con cibo e vestiti e tanti agi, tutto concesso dagli affari del nonno, non sempre leciti. Ma poi in pochi anni il patrimonio viene perduto insieme all’onore e al rispetto, da quando «il padre e lo zio scelgono di diventare onesti», e per di più pagando con la vita. Tomaso invece, bello, audace e forte, «sente di possedere talento per quegli affari che si facevano di notte, lontano dalla legalità», e così non sempre decide di essere colpevole di onestà, cerando piuttosto con espedienti di assicurare protezione alla famiglia e sognando un futuro di ritrovato benessere. Brilla di una luce speciale Tomaso, benché costretto in abiti miseri, la sua è la forza del coraggio e anche della vendetta e del riscatto sociale. L’incontro casuale con la bella Petra accende ancora di più la parte buona del suo complesso carattere in lotta costante con quella “malvagia”. Intanto la vita scorre difficile e non solo per la famiglia Mazzeo, c’è una zona grigia di degrado, malaffare e prostituzione e bisogna vincere due mostri, la fame e il freddo, in quei giorni che precedono l’anno nuovo 1909; ma la città è in fermento, il porto brulica di commercianti e navi inglesi e russe e torpediniere italiane, la splendida Palazzata con le sue trentasei porte vive una movimentata quotidianità. E lì, in una di quelle case signorili, dai marchesi Badastrello, vive Petra, figlia di una domestica, rimasta sotto la protezione dei padroni di casa, intelligente e moderna, diventata una maestra che sogna per le donne e i bambini diritti uguali a quelli maschili. È lei che ha folgorato Tomaso, rimanendone a sua volta folgorata, perché Petra non crede alle superstizioni e l’unica fascinazione che subisce è quella dell’amore. Ma poi c’è l’alba nera e l’orrore della catastrofe. Messina non c’è più, eppure per chi sopravvive c’è la necessità di una nuova resistenza: la sfida ora è cambiare per sopravvivere al lutto e alla perdita. E uscire da sé, pensare ai tanti orfani di cui dopo il terremoto si prendono cura Petra, anche Tomaso a modo suo, e Sofia, la zia di Tomaso, una donna misericordiosa veramente esistita che dopo il terremoto si prese cura di orfani e bisognosi di Messina. È l’energia femminile a tenere insieme il mondo, è compito delle madri, anche di quelle che non lo sono biologicamente, attraversare il buio, salvare i figli. E ricominciare.