Questo sito contribuisce all’audience di Quotidiano Nazionale

Quel William Shakespeare italiano, anzi... messinese

Parla Pete Maggi (domani in città). Un appassionato romanzo che riporta al centro la questione “dell’origine”

«Con questo romanzo ho voluto restituire un po’ di italianità a William Shakespeare, Poeta totale che è di tutti, anche nostro». Parla così del “suo” Shakespeare Pete Maggi, produttore e distributore cinematografico, fondatore della casa di distribuzione cinematografica Eagle pictures e da lì in poi di altre importanti distribuzioni italiane e internazionali di contenuti cinematografici e televisivi. Per il suo romanzo d’esordio, “Shakespeare reloved” (Solferino) Maggi ha scelto di misurarsi con un tema impegnativo che sicuramente si presta al romanzesco con l’aura di mito, di mistero e di leggenda che circonda la figura di quel grande aedo dell’umano che è Shakespeare.
In fondo si tratta di un pensare letterario sotto forma di narrazione che nel romanzo dà spazio al picaresco, all’avventuroso, allo storico, con l’Inquisizione spagnola che reprime nella sua morsa sanguinaria intelligenze e libertà in nome della difesa del credo cattolico contro le eresie. Protagonista il giovanissimo Michelangelo Florio, figlio di John Florio, arrivato a Messina a casa Crollalanza per sfuggire all’Inquisizione che perseguita suo padre Michelangelo. Scoppia l’amore tra John e Guglielmina Crollalanza e dalla loro romantica unione nascerà Michelangelo, ma in convento, dove Guglielmina viene fatta rifugiare mentre John deve fuggire. Da qui una serie di avventure in chiaroscuro con frequenti cambi di scena narrativa, ma in primo piano ci sono sempre amore, passione e desiderio, che spingono Michelangelo, il futuro William Shakespeare, a scrivere, a viaggiare, a incontrare e ad amare. Perché secondo Maggi «le storie nascono da quello che si vive e sicuramente anche Shakespeare visse tante esperienze che poi trasferì nel suo mondo poetico».
Maggi – che domani (ore 18) presenterà il suo libro a Messina alla Libreria Ubik Gilda dei Narratori, dialogando con l’assessore Enzo Caruso e l’architetto Antonino Principato, e poi sarà venerdì a Palermo e sabato a Catania – fa lo stesso con i suoi personaggi: fa vivere loro le storie che poi sono diventate quelle immortali di Shakespeare, da Messina a Venezia, a Roma a Verona e a Londra. Con una conclusione che dà spazio all’amore e a nuove avventure per quello che è uno solo per tutti, il Poeta William Shakespeare. In fondo l’autore si “serve” di Shakespeare non tanto per rischiararne il mistero, che permane, ma per percepirne e farne percepire l’immensità del genio.

Un tema impegnativo per un romanzo d’esordio…

«Una vera ossessione, da quando nel 2003 giravo “Il mercante di Venezia” e mi colpì in quell’opera la conoscenza della città, della legislazione italiana e di certi costumi che solo chi aveva vissuto lì poteva sapere: penso, ad esempio, al “ricciolo d’oro” citato nel “Mercante”, un uso delle ragazze veneziane, oppure alle “ragusine”, imbarcazioni utilizzate dalla Repubblica di Venezia. A Venezia, nel tempo che rimasi lì, mi misi a cercare negli archivi sul passaggio e sulla presenza di Shakespeare in città ma non trovai nulla. Intanto leggevo documenti e saggi, come quello di Santi Paladino del 1927. E da allora dovunque andassi, cercavo e approfondivo. Infine, il romanzo che mi ha liberato, per così dire, da questa magia».

Certo, lei nel romanzo si è preso molte libertà…

«Troppe direi, ma la mia vuole essere anche una provocazione. Se mai presenterò il libro a Londra dove ho vissuto per sette anni, dal 1998 al 2006, mi piacerebbe che si chiamassero in causa i conti di Pembroke, eredi di quel William III di Pembroke, cui John Florio, che si definiva “an italian english” e sul cui legame con William, forse anche biologico, non possono esserci dubbi, affidò scritti e documenti relativi a Shakespeare. Carte che non sono mai state aperte agli studiosi».

E a proposito di ascendenza italiana, è alla Sicilia che bisogna guardare e non a caso lei fa iniziare il romanzo con l’arrivo del giovanissimo John Florio a Messina, a casa Crollalanza.

«Quando ho girato in Sicilia “Il delitto Mattarella” ho continuato le mie ricerche. E i miei dubbi erano gli stessi contenuti nel libro di Nino Principato su Shakespeare a Messina. I Crollalanza, la cui resa in inglese è Shakespeare, erano un’importante famiglia nobiliare di origine milanese ma con un ramo trapiantato a Messina. Era costume, come ho verificato negli archivi del Collegio Inglese di Roma, che chi voleva andare in Inghilterra assumesse un “alias” che di solito riprendeva un cognome di ascendenza materna della famiglia».

Quanto deve il suo romanzo a “Shakespeare in love” di Madden? E potrebbe diventare un film?

«Non devo nulla a Madden e sì, potrebbe diventare un film, o una serie come avviene oggi per tante trame. E di trame in mente ne avevo. C’erano tante storie possibili nel romanzo che naturalmente ho dovuto contenere».

Cosa si augura per il suo libro?

«Che possa dare piacere e gioia a chi legge. Il mio “reloved” significa non tanto “riciclato” ma “riamato”, “rivissuto”. Uno Shakespeare che sia amato soprattutto dai giovani per la sua immortale grandezza».

Caricamento commenti

Commenta la notizia