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Pennac: sono stato un pessimo studente, nasco dalla vergogna del fallimento

Il romanziere francese a ruota libera ma la sua riflessione parte dalla «terribile politica europea sull’immigrazione». Nell’ultima opera, Capolinea Malaussène, ci regala il personaggio di Nonnino: frutto della brutalità di oggi. «La Sicilia è un’isola sovrappopolata di scrittori»

«Prima di iniziare a parlare di cose superficiali, cioè di letteratura, pensiamo a quelle importanti. La terribile politica europea sull’immigrazione non è solo mancanza di generosità umana ma rappresenta la fine della legge. Il diritto marittimo, che impone di salvare chiunque in mare, non esiste più. Sapete qual è la parola più pronunciata da un migrante? “Pardon”, scusa. Scusa se domando cibo, scusa se cerco i documenti. Mi domando se ci potranno mai perdonare quelle donne, quegli uomini, quei bambini annegati in Grecia: cercavano il paradiso, hanno trovato l’inferno della nostra ignominia».

Va giù duro lo scrittore francese Daniel Pennac, in apertura del suo spazio a Taobuk, dove ha dialogato con Salvatore Ferlita, docente dell’Università Kore. Poi è passato alla «frivolezza» della letteratura, non prima di aver ammesso di essere «un asino linguistico», per non essere in grado di parlare italiano. Capolinea Malaussène, il titolo dell’ultimo capitolo della saga di Benjamin, il più famoso capro espiatorio al mondo, non lascia presagire nulla di buono. «Sono passati quarant’anni dal debutto, io sono invecchiato. Tra questo libro e quello appena precedente c’è in mezzo un quarto di secolo: non ho più venticinque anni davanti a me. Vi confesso anche che ho scritto sette romanzi su Malaussène e per sette volte, finito il lavoro, sono stato ricoverato in ospedale. Beh, sembra un funerale, come quello di un certo Berlusconi. Non si può scherzare con i santi, mi raccomando».

Insomma, Malaussène, con la sua tribù zeppa di figli, nipoti zii, è tornato: godiamocelo. E se è lo stesso antieroe Benjamin a dire: «Quando ho scoperto che c’era di mezzo Nonnino, ho capito una cosa: chi non conosce Nonnino non sa di cosa è capace l’essere umano», significa che il protagonista di questo capitolo è veramente tremendo: «Sulla base di alcune tematiche costruisco i personaggi. Per Benjamin mi sono ispirato al filosofo Renè Girard, per altri ho preso spunto da amici e conoscenti. Non conosco nessuno, invece, come Nonnino: lui interpreta l’anima cattiva del nostro essere in questo momento, è frutto della brutalità di oggi».

Poi si rivolge al pubblico: «Mamme, nonne, bisnonne, raccontate tante storie ai vostri figli, nipoti, pronipoti: io sono stato un bambino a cui nessuno raccontava le favole e ho sofferto. Sono stato un pessimo studente, provocando l’infelicità dei miei genitori che non avrebbero scommesso un franco sul mio futuro, e dei miei insegnanti che non riuscivano a insegnarmi nulla. Andavo lento ma a vent’anni mi sono svegliato: nasco dalla vergogna del fallimento. Da docente mi sono imposto di non far mai paura ai miei ragazzi ma piuttosto di trovare un modo per non inibirli. A scuola odiavo Balzac e Stendhal, perché inseriti nei programmi scolastici ma amavo gli scrittori russi. Gli italiani? Anche: Buzzati, Pirandello, Sciascia, Calvino e, tra i viventi, Erri De Luca, Silvia Avallone, Antonio Moresco. La Sicilia è un’isola sovrappopolata di scrittori, solo l’Irlanda può reggere il confronto. Tutto l’opposto della mia Corsica».

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