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Proietti Don Chisciotte col regista messinese Carlo Quartucci

Pochi lo sanno ma Gigi Proietti aveva cominciato da attore impegnato, sui palcoscenici irrituali del teatro di sperimentazione romano. E anche in tv fu partecipe di veri e propri esperimenti. Una delle sue primissime prove televisive fu con il regista messinese Carlo Quartucci, un grande di quel teatro che frequentava, che lo volle protagonista di “La favolosa storia di Don Chisciotte della Mancia e del suo scudiero Sancio Panza, inventata da Cervantes, ricostruita e rappresentata in uno studio televisivo da una compagnia di attori e musici con Ronzinante e l’Asino, animali veri” (giuro, il titolo era davvero lungo così), cinque puntate tutte trasmesse nel 1970 (negli studi Rai di Napoli e poi nelle strade adiacenti), a stretto contatto con un pubblico giovanissimo e interattivo e destinate ai ragazzi. Claudio Remondi era Sancio Panza.

Proietti ha sempre citato questa esperienza tra le sue fondamentali, anche se nei vari commenti di ieri sembra essere stata dimenticata. L’autore dei testi, insieme con Quartucci, era Roberto Lerici (che poi per l’attore romano scrisse “A me gli occhi!” e molto altro), il quale la raccontava così: «Gigi, appena uscito dal teatro stabile dell'Aquila, amareggiato per incomprensioni e delusioni, ha accettato con esitazione e timore il ruolo del protagonista. Bisogna superare il problema dell'età troppo giovane, ma il modo nuovo e diverso di concepire lo spettacolo televisivo del regista mette subito Gigi sul binario giusto. Telecamere e microfoni su giraffe sono a vista, Gigi entra nello studio come se stesso, insieme agli altri attori, raggiunge il suo spazio, si veste lentamente del personaggio, il corpo recita la magrezza allampanata, il gesto nobile tragicamente ridicolo, le ossa modellano la maglia sdrucita di ferro, il penoso aderire di un brandello di corazza appeso sul petto, e mostra improvvisamente un volto senza età, la barbetta a punta, l'occhio spiritato, l'espressione meravigliata dell'attore che scopre momento per momento il pensiero dolcemente lunatico, lo stupore perenne di fronte alla sequela di ingiustizie e di torti da riparare che gli scaturiscono davanti come oltraggi demoniaci... È incredibile come, senza trucco particolare, Gigi assuma sempre di più una maschera di dolente vecchiaia, fatta di interiore consapevolezza. Alla morte di Don Chisciotte, al centro di un lenzuolo enorme che copre l'intero studio (...) gli attori attorno a lui, dopo le ultime parole di rinuncia al suo nome e alla sua luminosa follia, piangono veramente... La ripresa televisiva lo testimonia».

In quello sceneggiato furono impegnati altri grandi: Giorgio Gaslini, autore delle musiche, e il pittore e scultore Giulio Paolini che firmava gli elementi scenici. Le puntate partirono da una struttura prevalentemente teatrale (con gli attori che all’inizio si comportavano da intrusi in uno studio tv) che a poco a poco si trasformò in uno stile televisivo innovativo, molto legato all’improvvisazione, poi perfezionato nel successivo “Moby Dick”.

Quartucci scrisse: «Con “Don Chisciotte” sono entrato in tv con un amore pazzesco». Quartucci e Proietti si erano conosciuti sul set di un film di Tinto Brass (allora ai primi passi nell’erotismo), dal titolo “Dropout”, in cui ambedue erano impegnati come attori, accanto a Franco Nero e Vanessa Redgrave, con la sceneggiatura firmata da Lerici. Proietti non recitò nell’altro grande sceneggiato tv diretto da Quartucci “La rappresentazione della terribile caccia alla balena Moby Dick”, ma ne cantò tutte le canzoni su musiche di Fiorenzo Carpi, fra cui la più nota “Ballata del marinaio”. Nel frattempo aveva cominciato a conoscere il grande successo, ma lui non era uno che si tirava indietro, davanti a chi, prima di altri, aveva creduto in lui.

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