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Almudena Grandes, la storia dolorosa della sua Spagna e l’esortazione alle donne

Raccontare il proprio Paese, mescolando finzione e realtà: Almudena Grandes sta compiendo un grande affresco della storia di Spagna e con “La figlia ideale” (Guanda, pp. 560, euro 20, traduzione di Roberta Bovaia), quinto libro della serie “Episodi di una guerra interminabile”, affronta gli anni della dittatura franchista. La scrittrice spagnola – divenuta celebre con il suo esordio “Le età di Lulù” (1989), seguiti da “Malena: un nome da tango” (1995), “Atlante di geografia umana” (1998) e “Baci sul pane” (2015) – sarà una delle grandi protagoniste della decima edizione del Taobuk (1-5 ottobre) incontrando il pubblico domani (ore 20, Fondazione Mazzullo).

Grandes firma romanzi popolari e con una forte impronta politica, tanto che nella cornice de “La figlia ideale” ovvero dal 1954 al 1956, narra la condizione femminile negli ospedali psichiatrici sotto il franchismo, evidenziando la nefasta alleanza fra lo Stato e la Chiesa. Il cuore del romanzo ruota attorno al manicomio femminile di Ciempozuelos, appena fuori Madrid. Lì il dottor Germán Velázquez prende in cura Aurora Rodriguez Carbelleira, una donna colta e ricca che aveva ucciso la sua unica figlia. Con un ventaglio di personaggi e tre voci narranti Almudena Grandes rilegge la storia del proprio Paese come una malattia che ne ha offuscato la ragione, permettendo la dittatura.

Lei sarà ospite del decennale del TaoBuk a Taormina. Emozionata?

«Sono stata in Sicilia solo una volta, molti anni fa, conservo un ricordo abbagliante della sua bellezza. L’ho vissuta anche grazie a Leonardo Sciascia, uno degli scrittori che hanno accompagnato la mia adolescenza e che rileggo sempre con interesse».

Cosa l’ha spinta a scrivere della vicenda di Aurora Rodríguez Carballeira?

«Penso ad Aurora da più di trent'anni. Lei credeva di essere nata per riformare la società e migliorare il destino dell'umanità ma era convinta che le potenze internazionali, in particolare l'MI5 britannico, stessero cospirando contro. Così, quando sua figlia Hildegart, ragazza prodigio che a soli diciott’anni si era laureata in legge e parlava sei lingue, le disse che avrebbe tenuto lezioni in Inghilterra, lei credette che i suoi nemici avessero vinto. E la uccise».

La malattia mentale le permette anche di trattare dell’eugenetica. La purezza della razza si specchia nel timore della diversità?

«Aurora Rodríguez Carballeira era un'eugenetista da una prospettiva progressista e femminista, radicalmente contraria alle posizioni di Antonio Vallejo Nájera, il patriarca dell'eugenetica fascista spagnola. Vallejo è conosciuto per la sua teoria secondo cui il marxismo era un gene intrinsecamente legato all'inferiorità mentale. I marxisti erano degenerati che dovevano essere eliminati per il felice sviluppo della “razza” spagnola. In pratica, ciò è servito a proteggere gli omicidi dei marxisti spagnoli con una copertura scientifica, e allo stesso modo ha giustificato il furto dei loro figli».

Ovvero?

«I bambini nati da padri o madri marxisti, ma intendo questo aggettivo in un senso così ampio da comprendere tutti i repubblicani, furono portati via e dati in adozione a famiglie franchiste, cattoliche e moralmente “adatte” per combattere contro il cosiddetto “gene rosso”. Nella Spagna del dopoguerra non si trattava tanto di temere quanto di sterminare la diversità a ogni costo».

Allora le donne rinchiuse scomparivano nel sistema. Oggi a che punto siamo con la lotta per la parità dei diritti?

«Le donne subirono le conseguenze della dittatura più intensamente degli uomini. Credo che la situazione attuale non possa essere in alcun modo paragonata a quella di quegli anni eppure l'uguaglianza è ancora molto lontana. Dobbiamo continuare a combattere, ed è quello che stiamo facendo».

Che anni sono stati quelli fra il ’54 e il ’56? «Negli anni '50, il cattolicesimo nazionale raggiunse il suo apice grazie al matrimonio, tra la dittatura franchista e la Chiesa cattolica, due poteri assoluti e intimamente intrecciati. All'epoca in cui il mio romanzo è ambientato, quasi tutto era peccato e i peccati erano crimini. I peccatori non solo sono andati all'inferno, ma prima sono andati in prigione. La morale nazionale cattolica era così ristretta e soffocante che ogni spagnolo e, soprattutto, ogni spagnola aveva una prigione all'interno del proprio corpo».

Germán Velazquez Martín sceglie di tornare in patria e prende in cura Aurora. Lei crede nelle seconde chance o saremo sempre prigionieri del nostro lato oscuro? «Credo nelle seconde possibilità, almeno nella vita delle persone. Il mio Paese ha impiegato così tanto tempo per riconquistare la libertà che la nostra attuale democrazia non può essere considerata una seconda possibilità, ma i destini individuali sono un'altra cosa. Quando ho iniziato questa serie, mi sono resa conto che stavo affrontando sei romanzi che non potevano avere un lieto fine ma ho deciso di compensare la miseria dei combattenti che non hanno mai raggiunto l'obiettivo di rovesciare il dittatore, dando loro almeno una piccola felicità privata».

Intanto in questi giorni il Covid-19 è tornato a far paura e imporre nuovi lockdown. A suo avviso, qual è stato l’impatto della pandemia sui populismi?

«Penso che il populismo avesse già visto una crescita esponenziale ma la pandemia ha dato una spinta terrificante. I movimenti populisti non avrebbero potuto sognare una situazione così favorevole, in cui l'ignoranza si allea con la paura e la manipolazione sistematica delle informazioni per creare un clima in cui si dubita della scienza e si auspica un ritorno alle superstizioni. È davvero orribile».

È vero che il suo prossimo romanzo è ispirato alle pandemie?

«Sì, è una possibile versione del futuro, un’era delle pandemie ma spero che non diverrà mai realtà».

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