Era davvero necessario che riaprissero le librerie? I dubbi son sempre leciti e anch'io me lo domando mentre stamattina attraverso in auto Messina, la mia città. Le strade sono vuote, deserte come le domeniche d'agosto delle pubblicità d'antan e che sia un momento straordinario lo capisci da piccole cose, come il fatto di trovare parcheggio davanti all'uscio del negozio. Alessandra è già in libreria. Busso sul vetro con i guanti. Lei mi sorride dietro la mascherina, lo dicono gli occhi.
Nei primi giorni di febbraio la libreria si era trasferita qui, in pieno centro, a due passi da Piazza Cairoli e adesso, dopo 35 giorni di lockdown, riapre. L'ultima domenica “normale” è stata quella di Carnevale: i bambini sfilavano con i costumi seminando stelle filanti e urla di gioia inconsapevole ma i più previdenti stavano già facendo incetta di Amuchina e mascherine. Non io, purtroppo. Quella sera sembrava ancora tutto sotto controllo, ricordi? Abbiamo preso la focaccia con la tuma e per sfatare i dati di Wuhan e l'eco da Codogno, ci siamo visti “Contagion”, quel film su un virus dall'Oriente si propaga in tutto il mondo, con Gwyneth Paltrow e Matt Damon. Tutto questo faceva parte del mondo di prima in cui non ci perdevamo un film apocalittico, prendevamo l'aperitivo e i baci tendevano all'infinito.
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Ieri sera sui social ho letto di tutto un po'. C'era chi voleva riaprire e chi ha protestato, invocando un ripensamento governativo. Quattro regioni - Lombardia, Piemonte, Sardegna e Campania - hanno bloccato l'apertura e noi, solo dopo l'ultima diretta streaming del sindaco, abbiamo avuto la certezza che si ripartiva dal lunedì al venerdì, dalle 9 alle 14. «Stanotte ho fatto un incubo» dice Alessandra riportandomi al presente. È rivolta verso Giuseppe, lo storico direttore della libreria che sta sistemando all'entrata il dispenser con il gel igienizzante e una confezione di guanti trasparenti mentre Francesca ha già appeso l'annuncio sulla vetrina: si entra al massimo 4 alla volta e si invita tutti ad attendere il proprio turno. «Ho sognato che non veniva nessuno. Anzi, c'era un solo cliente e ci chiedeva solo libri di quella YouTuber…come si chiama?!». E noi ridiamo. Ridiamo molto di più di quanto meriti la battuta, ridiamo per liberarci dei talkshow zeppi di virologi, ridiamo per non dover ricordare che questa non può essere la normalità.
E poi accade una cosa bella. Sfidando i sei secondi di contatto, le tocco il braccio e indico la vetrina, «guarda». Lei si volta e dietro le porte a vetri ci sono dei clienti. Ci sono dei lettori. Le prime persone sono entrate, caute, ciascuno sfoggiando una propria variante di mascherina: con valvola, senza valvola, monouso di tipo chirurgico e persino una elegantissima, con le iniziali stampate in corsivo ad altezza labbra. Non resisto, esigo di sapere: «Mia moglie ha preso una mia camicia e l'ha tagliata modellandola a mascherina. Era vecchia, d'accordo, però ci tenevo».
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Ora sono davanti al pc, dietro la cassa, guardo le vendite in tempo reale. I numeri parlano chiaro: nelle prime settimane dominavano i romanzi a tema pandemico - “La peste scarlatta” di Jack London e “Abisso” di Dean Koontz - ma oggi nessuno ne vuole sentire parlare, «basta quello che sentiamo alla televisione!» glissa una signora che ha scelto “Il Colibrì” di Sandro Veronesi e “Il rosso e il nero” di Stendhal.
Ci siamo sempre detti e ripetuti che siamo un popolo indisciplinato eppure mentre il via vai continua - alla fine leggo e rileggo il dato finale, 55 clienti - chi è fuori mantiene le distanze con grande serenità. Qualcuno ha le buste della spesa ed io, lo confesso, sono tentato di mollare la mia assistenza da giornalista/scrittore/osservatore per fiondarmi al supermercato dietro l'angolo. Ma resisto e così facendo incoccio anche in un'amica, V.L. - «Ma quindi vi siete trasferiti qui!?» - che va a chiamare il fidanzato e torna espressamente per comprare l'ultimo libro di Carlotto, e non poteva mancare E.L., lettore professionale di thriller che per non smentire le trame amate sostiene ancora che si tratti di un complotto della Cina.
Intanto altre piccole cose: Vittorio non rinuncia alle battute, Francesca ha un buco nello stomaco e una mela prigioniera in borsa e Giuseppe consiglia libri da due metri di distanza, costretto ad alzare un po' la sua voce educata dal canto. Fuori dalla libreria, in attesa di entrare, scopro che c'è persino una mia lettrice («Dopo averlo letto posso chiederle la dedica?»), una distinta signora con uno splendido accento romano. Biagio, un cocker nero che scodinzola senza sosta, le gira intorno ai piedi e sbadiglia rumorosamente.
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Cosa ci aspettavamo stamane? Pensavate davvero che un popolo di non-lettori avrebbe approfittato della riapertura delle librerie per fuggire caoticamente di casa? E invece, chi entra si guarda intorno, si riappropria di questi spazi, lascia correre lo sguardo sulle coste dei libri, sulle novità che sono arrivate mentre era tutto fermo e tutti, nessuno escluso, si lasciano andare ad un ringraziamento, ad un incitamento, ad una piccola confessione: «Ne avevamo bisogno - dice L.S., una professoressa universitaria che abita proprio sopra la libreria - in queste ultime sere ho persino rinunciato a portare a passeggio i miei amati cani. Era troppo lo sconforto di vedere le strade buie e desolate, come in un brutto film horror».
E di colpo sono già le 14, ora di chiusura. Il corriere è passato a prendere i pacchetti per le consegne a domicilio e usciamo tutti fuori. E domani? Domani, per fortuna, si ricomincia.
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