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Taobuk, l'abbraccio dei lettori e le star: un successo dal grande futuro

Se dovessimo scegliere lo scatto che riassume l'immagine di Taobuk 2019, il Festival del libro chiuso ieri a Taormina, non avremmo tentennamenti: Salvo il libraio messinese mentre scrive «Peloritani» sulla busta Feltrinelli in mano a Ian McEwan, suggerendo all'amabile e curioso turista un itinerario imperdibile in provincia di Messina.

Uno dei più grandi scrittori viventi scende dal palco e s'immerge nell'abbraccio dei lettori, come fosse un vecchio amico, cancellando le distanze (anche geografiche) e partecipando alla festa della comunità che lo attendeva, scrive la Gazzetta del Sud in edicola.

È forse questo il senso più profondo e autentico di Taobuk che per cinque giorni ha animato Taormina, grazie all'impegno organizzativo e alla passione di Antonella Ferrara, “motrice” del festival. Anche quest'anno Taobuk ha nutrito il valore necessario della cultura, intesa come sorgente che offre conoscenza vivibile.

Perché la missione è coniugare l'altezza del palinsesto con la partecipazione, costruendo attorno agli incontri una rete di connessioni capace di esaltare il dialogo, l'integrazione tra i piani superiore e inferiore. Si percepisce subito quando il diaframma conformistico impedisce la circolazione dei sentimenti, costringendo lo spettatore ad assumere lo status di (in)sofferente manichino.

Così al glaciale e altezzoso Tremonti, non proprio un testimonial del desiderio, fa da contraltare il dramma radicale di Lucio Presta, alla ricerca della madre perduta.

Il tema del festival è immenso, nasce con la mela di Eva, arde nella vita ma anche nella morte di Primo Levi che ci consegna l'insopprimibile desiderio di ricordare, di fare memoria. E brucia nella solitudine di di Jhumpa Lahiri, dentro la quale cresce la voglia di sconfinare nell'ignoto, le «discese ardite» di Battisti. Ma sopravvive nel classicismo di Luciano Canfora, o nella riscoperta dei vitigni autoctoni dei produttori siciliani più lungimiranti. Il desiderio anima lo spirito di editori e giornalisti che non vogliono arrendersi all'invasione dei colossi della Rete e che difendono il valore produttivo dell'informazione: qualità e sostenibilità economica non possono essere disgiunte. E poi la serata di gala al teatro antico, capace di incrociare le arti, dal cinema alla musica, come se ci fosse un foglio bianco sul quale scrivere una storia di emozioni.

Gli affluenti del festival, però, nel loro percorso guidato dalla bussola del desiderio, rischiano di scomporsi in rivoli, perdendo di vista la foce. La capacità di comporre un programma per tutti i gusti ha le sue controindicazioni. E forse sarebbe opportuno procedere a una potatura per ridare vigore a una pianta rara, patrimonio da curare e tutelare.

Perché Taobuk, al di là di una formula da limare, rappresenta in Sicilia il fronte avanzato della controcultura (ahinoi una volta Cultura), quella che offre spazi fisici e mentali a chi desidera mantenere, riscoprire il rapporto diretto con la conoscenza, non filtrata o automatizzata dai social.

Il libro è l'ago, la parola il filo e l'arte, nelle sue declinazioni, rappresenta il ricamo che si compone nella relazione viva con la comunità, non con la rete virtuale.

La strada è tracciata in mezzo ai «ghiacci tropicali», «c'è solo un po' di nebbia che annuncia il sole, andiamo avanti tranquillamente».

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