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Anche la guida Michelin
non resiste a... Lello Caliri

Anche la guida Michelin non resiste a... Lello Caliri

Un viaggio intenso ed emozionante, capace di trasformare un bisogno primordiale in una straordinaria esperienza multisensoriale, necessaria non solo e non tanto per la sopravvivenza fisica, di certo non più strumento, ma essa stessa fine.

Se la missione era quella di stupire, Pasquale “Lello” Caliri, agente non segreto al servizio di Sua Maestà il Gusto, l’ha portata pienamente a compimento. Puntando a tutti i cinque sensi: il gusto e l’olfatto, scontati e inflazionati se si parla di cibo, ma qui esaltati e coccolati in maniera persino commovente; e quindi la vista, con un tripudio di colori e forme sapientemente declinati in attraenti geometrie che partono dalla scelta del contenitore – non un semplice piatto ma esso stesso parte della portata – e approdano qui e là ad una stilla di caramello di capperi sgocciolata da un elfo birbante, o ad una fogliolina di acetosella che sembra fatta scivolare lì da Madre Natura, con il suo ovalino verde perfetto venato di viola; il tatto, dove un magnum di acciuga invita a tornare bambini per degustare senza posate ricordando l’infanzia; e persino l’udito, potentemente arruolato da un ingrediente che si assapora con l’anima: lo sciabordare delle onde in una location unica che solo in apparenza il menu del sornione Caliri non elenca.

E proprio da qui, dall’incantevole Marina del Nettuno dell’imprenditore Ivo Blandina, partiamo per scoprire come Lello riesca a parlare al cuore e al cervello, imprigionandoli in una irresistibile gabbia dalla quale non si ha proprio voglia più di uscire. Un avvertimento: anche solo scegliere à la carte richiede un certo sforzo intellettuale, meritato dall’evidente lavoro di ricerca pure filologica dello chef-giornalista, che fa di tutto per andare oltre la comune descrizione dei piatti. E mentre il cuore vorrebbe subito arrivare all’agognato assaggio, il cervello – specie quello avvezzo alla parola scritta su carta – chiede invece tempo e spedisce l’occhio alla prima riga, quella in cui si parla di emozione. Per passare poi alle successive che narrano di passioni e sinestesie, via via inoltrandosi in un percorso di “ricerca dell’eccellenza” ed evidente approfondimento scandito dalla vera cultura del gusto.

Caliri, 51 anni, messinese doc, da due anni compie le sue acrobazie gourmand nelle cucine dello yachting club affacciato sullo Stretto e diretto da Sabrina Russo, ultimo approdo dopo una decina d’anni trascorsi in giro per il mondo. Un sacrosanto ritorno alle origini, dopo la brusca partenza («Ho svuotato casa, ho preso i miei cani e sono andato via», ricorda) che giusto due lustri addietro a seguito di una profonda crisi personale, fu al tempo stesso la fine e il principio. In mezzo, la scuola di cucina – e di vita – di Gualtiero Marchesi, l’esperienza in America, le lezioni di Pietro Leemann, guru dell’alta cucina naturale, e Paco Torreblanca, masterchef della pasticceria autore del Primo Comandamento: “Primero el Gusto”. Innanzitutto, il sapore. Poi, il resto. E questo assunto, unito al concept di essenzialità della scuola marchesiana, ha dato forma e sostanza al “Caliri style”. Che prende la semplicità e la fa diventare straordinaria. Uno dei suoi piatti forti, infatti, si basa su un ingrediente comune, anzi “povero”: l’uovo. Che però – non a caso antico simbolo di perfezione – qui diventa sublime, cotto “in camicia” e accompagnato da uova di pesce, spuma di ricotta, bottarga e un crostone di cuturro, parte povera della macinazione del grano. Un mix che regala pura gioia, grazie a un segreto... «Sono – spiega Caliri – uova di galline felici» lasciate beccare in libertà dal prezioso signor Silvio. Mentre pasta e pane – rivela solo ai lettori fedeli l’ultima pagina del menù – sono fatti in casa con farine di antichi grani siciliani, i frutti di mare vengono dai laghi di Ganzirri, l’olio dall’Etna, frutta e verdura sono siciliane e le erbe regalate da un orto cittadino all’Annunziata.

«La cucina dev’essere anche salute, benessere» precisa lo chef che strizza l’occhio alla cucina vegana riducendo all’osso le portate di carne per una sua «visione etica». E tra un piatto e l’altro di pasta condita con sentimento e acciughe (il nonno aveva una fabbrica di conserve a Falcone, e oggi il nipote Pasquale apre ogni cena con un magnum “amarcord” di acciuga in scatola) si tiene in forma col pilates e si prende cura non solo dei celiaci – avendo egli stesso questa forma di intolleranza al glutine – ma di tutti i palati e gli stomaci nelle vicinanze. «Un grande piatto è fatto da un grande ingrediente, che non significa per forza costoso, ma di qualità. Ed è la frequente mancanza di essa a far soffrire oggi parecchio la ristorazione».

Una sofferenza che Caliri però contempla da lontano, forte di una sfilza di riconoscimenti: da ultima, la menzione nella guida Michelin, preceduta, tra gli altri, dal piatto d’argento degli Amici della Cucina e dalla partecipazione a Stoccolma su segnalazione di Alma a un meeting internazionale promosso da Isnart in qualità di ambasciatore della cucina siciliana. E da bravo diplomatico, ogni giorno Caliri compie un miracolo di mediazione tra un potente desiderio di avanguardia e le preferenze del pubblico, sovrano ancor più di Sua Maestà il Gusto. «Amo la tecnologia e la ricerca – riconosce – . Ad esempio adoro la cucina molecolare anche se non la offro». E però, qui e là scienza e tecnica si insinuano nel piatto, in una cassata “destrutturata”, o in una “fusione fredda” scandita dall’effetto sorpresa di un globo di cioccolato brinato fatto sciogliere da una colata di cacao bollente per svelare il cuore di gelato. Con cui Caliri si sbizzarrisce spesso “creandolo” grazie all’azoto liquido.

E mentre il cuore e le mani sapienti rimangono in riva allo Stretto, la mente è già in volo verso il prossimo esperimento. Lo scopriremo solo assaggiando...

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