![](https://assets.gazzettadelsud.it/2025/02/Michele-Cimino-800x800.jpg)
Sapeva tutto dell’Assemblea regionale siciliana di cui è stato l’ultimo vero cantore, quando la parola Statuto aveva un senso.
E tutto significa non solo persone e fatti, ma leggi e codicilli. Michele Cimino, scomparso ieri a Palermo a 84 anni, era l’Assemblea regionale siciliana e l’Assemblea regionale siciliana era lui.
Era approdato, profugo istriano, nei saloni ovattati di Palazzo dei Normanni nella seconda metà degli anni ’50 del secolo scorso, in tempo per vedere don Paolino Bontade prendere a schiaffi un deputato monarchico che non aveva sostenuto il governo di Silvio Milazzo.
Un calderone politico dove c’era di tutto e da cui fiorirono idee innovative non solo per la politica siciliana ma anche oscure alleanze che si sarebbero manifestate per decenni sulla vita pubblica dell’Isola.
Stagioni che Michele raccontò sulle pagine della sua “Gazzetta del Sud” con dovizia di particolari rispondendo a una sola logica. La sua: ovvero quello di un giornalista che non si accontentava mai della prima domanda ma cercava sempre di avere una notizia in più.
Michele Cimino non è stato solo un giornalista politico-parlamentare, ma anche un solido cronista giudiziario, raccontando prima la vecchia mafia, quella della strage di Ciaculli del 1963, poi quella rampante che fece il suo esordio nella strage di via Lazio, nel 1969, quando per la prima volta venne fuori il nome di Bernardo Provenzano. E poi narrando i delitti Terranova, Costa, la guerra di mafia, l’eliminazione di Dalla Chiesa… sempre con il suo stile essenziale che teneva fuori dalla porta inutili aggettivazioni e puntava alla sostanza.
Michele Cimino non girava attorno alla notizia, la metteva al centro del suo lavoro. Un cronista purosangue, un giornalista a tutto tondo, un maestro per chi ama questo mestiere che lui ha sempre onorato.
Caricamento commenti
Commenta la notizia