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Palazzo Penso a Messina: dove le fedi sono armonia

Il dopo Terremoto. A Messina questa definizione rimarrà sempre fondamentale. Come un bisogno vitale, una priorità morale, ed un orgoglio dentro quell’universo d’identità che sono le architetture e le sculture di una città, la nostra, che era morta e risorse. In quest’ottica continua la nostra carrellata sui palazzi “post terremoto” sottoposti a restauri. Interventi chiamati a far risorgere, ove sfregiata dal tempo, la “grande bellezza” di Messina voluta da quei progettisti che nei primi due decenni del 900 da tutt’Italia approdarono sul deserto di macerie in cui la bella Messina si era trasformata. Fu la reazione dell’Arte alla morte. Eclettico, liberty, neomedievale, moresco, fiorentino, barocco: le mescolanze degli stilemi furono non di rado liberamente lasciati scorrere come foreste di sogni. Piccoli boschi di volti umani e leonini, arabeschi floreali su colonne classiche, che sui nostri palazzi sembrano ancor oggi musicalmente accordarsi in una nota che ripete: sì, così, Messina è rinata.
Arriviamo a Palazzo Penso, che dal 1921 si snoda profondamente con forma elegante nel cuore del centro storico. Il restauro di questo particolare edificio trapezoidale che si allunga da via Primo Settembre sino allo sbocco sulla Cesare Battisti e poi da lì curvando ripiega in via Lepanto, al fianco della statua del “Don Giovanni d’Austria”, è stato effettuato, con un’operazione pregevole, dal marzo al dicembre 2021. Allora, lo si è goduto in silenzio, grazie al responsabile sacrificio dei sei condomini, che ne hanno sposato il valore straordinario. Perché il “Palazzo Penso” è due cose in una, un pezzo dell’Arte e della Storia, e di questa doppia anima proviamo a tracciare una sintesi. Si tratta di un’architettura eclettica molto originale in cui la tipica armonizzazione di stili e motivi si accompagna con l’ispirazione unica del suo sconosciuto progettista. Una firma ancor oggi misteriosa di un epigono del Coppedé – mistero forse risolvibile negli uffici comunali – che ne ha fatto un tesoro raro, come è stato dimostrato dall’inserimento del bene nelle Vie dei Tesori e da un convegno sulle giudecche più belle, organizzato dal giornalista, di origine ebraica, Klaus Davi che invitò a relazionare l’avvocata Antonella Pustorino, erede del commendatore Gustavo Penso, suo bisnonno, e nipote dell’avvocato Ernesto Pustorino, che fu commissario prefettizio di Messina.
Eccolo il racconto. Quando il cavaliere Gustavo Penso, nella disastrata città post-terremoto, ottenne dalla Prefettura, in concessione perpetua, l’area, in quanto rientrava tra gli imprenditori messinesi in grado di contribuire alla ricostruzione del centro storico, egli fece una scelta di grande libertà e cultura. Chiamò un progettista di origine ebraica, probabilmente friulano, che volle includere nel disegno, come elemento simbolico, la stella di David, o sigillo di Re Salomone. Quel doppio triangolo equilatero il cui centro è il perno dell’Umano equilibrio, ma le cui sei punte indicano – come riflette l’architetto Nino Principato – quella geometria del Divino che ogni cosa racchiude e guarda, in tutte le direzioni. La stella in origine adornava tutte le ringhiere dei balconi del secondo piano di ogni facciata ma oggi, all’esterno, ne sono rimaste appena due, sul prospetto di via Lepanto. S’ammirano invece, come 103 anni fa, tutte le stelle di David posizionate all’interno dell’edificio, sulle ringhiere di ferro battuto delle scale così come sul cancelletto che separa il piano terra e l’ammezzato, dal secondo piano e dalla soprelevazione anni 50.

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