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Droga e telefonini coi droni al carcere di Messina: si intensificano le indagini

Chi avrebbe dovuto allungare le mani, nella casa di reclusione, per recuperare il fagotto, e chi era o chi erano i reali destinatari della spedizione?

L’atterraggio per errore del drone con droga e telefonini in un’area esterna dello stabilimento della Gazzetta del Sud si è rivelata la classica goccia che ha fatto traboccare il vaso. Un vaso colmo di precedenti allarmanti episodi su cui ha già drizzato le antenne la Direzione distrettuale antimafia di Messina. Così, ieri mattina, ecco l’improvvisa accelerazione su un fascicolo d’inchiesta gestito dall’Ufficio inquirente guidato dal procuratore Antonio D’Amato e assegnato alle sostitute procuratrici Francesca Bonanzinga e Anita Siliotti. Che hanno incaricato i Nuclei investigativi della polizia penitenziaria e del Comando provinciale dei carabinieri di effettuare verifiche a tappeto nella casa circondariale di Gazzi, reale destinazione di quell’aeromobile a pilotaggio remoto dal carico insolito.
Agenti e militari hanno dato corso a perquisizioni personali e locali all’interno e all’esterno dell’istituto penitenziario di via Consolare Valeria, alla ricerca di quantitativi di sostanze stupefacenti e smartphone. Droghe e apparecchi telefonici troppo spesso introdotti nelle carceri nostrane, sfruttando ampie falle nei sistemi di controllo e una rete di complici in grado di facilitare tali condotte illecite. Su questi episodi la Procura peloritana stava lavorando, tant’è che nel decreto di perquisizione eseguito a partire dalla mattinata di ieri figurano ventuno reclusi, nove guardie carcerarie e altre quattro persone, indagate a piede libero o già sottoposte alla misura degli arresti domiciliari, nell’ambito di altri procedimenti penali, per un totale, quindi di 34 “osservati speciali”.
L’attività in questione, condotta in maniera sinergica dai carabinieri e dalla polizia penitenziaria, riguarda nello specifico l’operato di un gruppo criminale «che si ritiene, allo stato, essersi associato al fine di compiere una pluralità di comportamenti volti all’introduzione, nella medesima struttura carceraria, di telefoni cellulari e sostanze stupefacenti, potendo contare sulla disponibilità di alcuni agenti della polizia penitenziaria», si legge in un comunicato stampa firmato dal procuratore capo D’Amato. Si contesta, quindi, il reato di associazione a delinquere finalizzata alla commissione di vari delitti. E la prigione di Gazzi, che dovrebbe apparire come una sorta di bunker, mostra invece tutti i suoi inquietanti squarci. Criticità peraltro al centro di accertamenti preliminari, scattati in seguito a fatti analoghi. Proprio scandagliando telefonate e messaggi scambiati in passato tra alcuni detenuti nella casa circondariale di Gazzi e l’ambiente esterno, gli inquirenti sono riusciti a riannodare i fili di una fitta rete di comunicazioni riconducibili, innanzitutto, a un massiccio consumo e cessione di droga tra gli stessi privati della libertà personale. In poche parole: nel carcere girava (e gira?) tanta droga, alla stregua di una piazza di spaccio cittadina. Sostanze che evidentemente varcavano (e varcano?) con estrema facilità le porte e il perimetro apparentemente invalicabile della struttura, con la complicità di qualcuno che piuttosto avrebbe dovuto (e dovrebbe) garantire il rispetto delle regole, a maggior ragione in un luogo che ospita quanti certe regole le hanno trasgredite. Tra le altre cose, poi, il metodo del trasporto “via terra” di ciò che è assolutamente vietato non sarebbe stato l’unico e il ricorso del volo dei droni per recapitare quantitativi di “roba” e cellulari già sperimentato e riscontrato. Ma nella notte di mercoledì scorso, intorno alle 2, qualcosa è andato storto. Il viaggio di quel piccolo velivolo manovrato da chissà chi e da chissà dove ha avuto come meta il piazzale del polo del Gruppo Ses. Quel drone, dapprima allontanato dalla schermatura elettronica a protezione del carcere di Gazzi dalle intrusioni aeree, è andato fuori rotta, ha centrato uno dei grandi alberi all’esterno della Gazzetta del Sud e ha perso il suo carico: un pacchetto di cellophane legato con un filo di lenza all’aggeggio elettronico, contenente due telefonini analogici, cento grammi di hashish e venti di cocaina. Quindi, è precipitato. Lanciato l’allarme dal personale tecnico dello stabilimento, sul posto sono giunti gli agenti della Squadra volante e successivamente gli specialisti della polizia scientifica. Queste le domande da un milione di dollari: chi avrebbe dovuto allungare le mani, nella casa di reclusione, per recuperare il fagotto, e chi era o chi erano i reali destinatari della spedizione? Interrogativi sotto la lente della Procura, adesso, a maggior ragione, sinonimi di un sistema pericoloso da scardinare con estrema forza. Ragion per cui, gli investigatori, nell’ambito del fascicolo che hanno già sulle loro scrivanie, intensificheranno le indagini, affidandosi a metodi tradizionali, quali intercettazioni telefoniche e osservazioni mirate. E se ci fosse anche una nuova “gola profonda”? Tanto meglio.

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