«Le dico la verità, quando ho letto sul giornale della Finanziaria regionale e quella parola, “mance”, accostata alle parrocchie, sono rimasto colpito». Esordisce così padre Nino Basile, uomo di Chiesa che da parroco ha conosciuto la vita di provincia e, da qualche anno, quella di città, con le sue diverse sfaccettature. E che da sette anni guida la Caritas diocesana, osservatorio diretto delle fragilità di una comunità. A padre Basile non piace quel termine, “mance”, definizione data ai contributi a pioggia che i deputati siciliani – e anche messinesi –, con l’ultima Finanziaria regionale, hanno potuto distribuire sui rispettivi territori di provenienza, anche attraverso i propri politici locali di riferimento. E non piace perché è il modo di pensare e di agire che c’è alla base ad andare nella direzione sbagliata.
«Oltre che su quella parola – ci dice, nel suo ufficio di direttore della Caritas – mi interrogherei sul ruolo che viene attribuito alla parrocchia. Quei contributi economici sono legati all’effettivo riconoscimento del valore della parrocchia? Oppure sono semplicemente uno strumento politico? Se è così, allora sì che diventa una mancia».
Ma quei contributi non sono ritenuti utili nei quartieri e nelle parrocchie stesse?
«Certo, perché lo sono, attenzione. Sono contributi necessari, perché svolgiamo un ruolo anche di sostituzione sociale rispetto alle tante carenze che si registrano nei territori. Ci sono quartieri in cui non ci sono associazioni, o addirittura non c’è il supermercato. È il metodo che fa pensare».
Un metodo dal quale emerge una sorta di spartizione politica del territorio.
«È evidente che è così».
E come si supera questa logica?
«Ho sempre chiesto che nelle circoscrizioni ci fosse una maggiore presenza di servizi sociali non accentrati, ma ramificati sul territorio, così come sarebbe importante riavere i vigili di quartiere. Questa logica si può superare evitando che tutto sia concentrato a livello centrale e che per una singola buca o un lampione che non funzione si cerchi il politico di turno, piuttosto che l’ufficio competente».
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