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Il procuratore capo di Messina D’Amato sui temi della giustizia: «Riforma inutile e dannosa»

«La separazione delle carriere lo è soprattutto in questo momento storico, in cui l’Italia sta attraversando una fase di grossa transizione, dovendo affrontare grandi sfide»

In vista dell’inaugurazione dell’anno giudiziario abbiamo chiesto al procuratore capo di Messina Antonio D’Amato la sua opinione sull’attuale “punto di scontro” principale tra politica e magistratura, il tema che sta alla base delle violente polemiche di questi giorni, ovvero la separazione delle carriere.

E il procuratore D’Amato su questo tema è molto netto: «È una riforma inutile quanto dannosa per i cittadini e lo è soprattutto in questo momento storico. L’Italia sta attraversando, infatti, una fase di grossa transizione, dovendo affrontare grandi sfide, come, per citarne alcune, la transizione digitale, l’attuazione del programma Next Generation UE del 2021, l’azione di contrasto - ne sono testimonianza gli interventi legislativi in materia di cyber-sicurezza e indagini di alcune Direzioni distrettuali antimafia -, alle forme di manifestazione, tanto più sofisticate quanto meno appariscenti, delle organizzazioni criminali di tipo mafioso, che, con grande lungimiranza, stanno cogliendo ogni opportunità di profitto, in modo speculativo, anche grazie al metaverso e alle comunicazioni crittografate (generalmente impenetrabili, pregiudicando in tal modo le investigazioni) e al web in generale, riciclando, anche in questo modo, gli enormi profitti derivanti soprattutto dal narco traffico. Se queste sono alcune delle priorità, appare defocalizzata la prospettazione della separazione delle carriere come strumento utile per migliorare la qualità della giurisdizione e le garanzie per i cittadini, abbattendo i tempi della giustizia».

Cosa vi sareste invece aspettati dal governo?
«Ci saremmo aspettati interventi tesi a semplificare le procedure, a dotare gli uffici giudiziari di adeguate risorse, sul piano dell’edilizia, della innovazione tecnologica, anche per stare al passo delle organizzazioni mafiose e del salto di qualità che le stesse hanno dimostrato di aver compiuto. E, invece, si tende ad aumentare il numero dei reati, laddove sarebbe ora di operare una generale razionalizzazione del sistema penale, sia eliminando figure di reato, non più attuali, perché riflettenti condotte trasgressive della legge, da sanzionare, più efficacemente in altro modo, sia superando la tradizionale concezione carcerocentrica della sanzione, così affidando, per l’ennesima volta, alla magistratura, il compito - oggi sempre più difficile, a risorse date - di assicurare che le sanzioni penali comminate vengano, poi, effettivamente irrogate ed eseguite».

E cosa si dovrebbe fare secondo lei?
«Sarebbe opportuno, invece, prediligere un metodo, partecipato, di individuazione delle cause di inefficienza della giurisdizione, per poi trovare la soluzione, privilegiando il dialogo ai proclami divisivi, incentrati sulla rappresentazione di una immagine della magistratura diversa da quella reale, una magistratura che “conscia delle sue responsabilità”, cerca di assolvere “al meglio i propri doveri” con “impegno professionale, senso del limite e della misura”».

Perché lei dice che la separazione delle carriere è dannosa per il cittadino?
«È dannosa per il cittadino, soprattutto quello più debole, perché non aumenta le garanzie, ma, al contrario, le comprime, rischiando di appiattire il pubblico mistero su un ruolo meramente accusatorio, minando alle basi la sua funzione di organo di controllo della legalità, come è previsto fin dal 1941. Il danno è ancor più evidente, laddove correlato all’ulteriore riforma, forse ancora più pervasiva, che prevede la costituzione di due consigli superiori, uno per i giudicanti, l’altro per i pubblici ministeri, le cui ricadute sarebbero catastrofiche quanto ai criteri di valutazioni di professionalità per i magistrati requirenti. Sono di straordinaria attualità le parole dell’allora Presidente della Repubblica Giovanni Leone, nella qualità di presidente del Csm, circa 50 anni fa, in occasione della seduta plenaria del 9 giugno 1976, per commemorare il magistrato Vittorio Occorsio, ucciso dalle brigate rosse: “Alla magistratura occorre finalmente dare tutti quegli strumenti operativi che le conferiscono una struttura moderna e quindi agile ed efficiente. … Ma alla magistratura occorre anche dare quel clima di fiducia o di rispetto che consente ai magistrati di operare con serenità. Ed in questo senso mi sembra importante sottolineare che una cosa è la libertà di valutazione sulle decisioni giudiziarie, essenziale in un regime democratico; altra cosa è l’aggressione a cui taluni magistrati vengono sottoposti per informazioni travisate o perfino per faziose impostazioni polemiche. Fiducia e mezzi operativi ai magistrati; ed essi continueranno con coraggio e con fermezza la loro azione al servizio dello Stato democratico”».

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