Anche per quest’anno i saldi invernali (così come quelli estivi) se non sono un vero e proprio flop, poco ci manca. La musica non cambia, il commercio sì e i dati diffusi nei giorni scorsi sull’ultimo trimestre 2024 (132 imprese in meno a Messina proprio nel settore del commercio, 82 iscrizioni contro 214 cessazioni) scoraggiano, così come le saracinesche abbassate di negozi e ritrovi storici – dalla Benetton a, in ultimo, il bar Sciarrone – anche e soprattutto del centro città. Secondo Alberto Palella, presidente di Confesercenti, «i numeri vanno analizzati e interpretati nel giusto modo», ma il primo dato, quello sui saldi invernali, è già eloquente: «Quest’anno siamo intorno al -20%, media regionale. Un dato che non mi sorprende – esordisce Palella –, perché ormai da anni, purtroppo, i saldi hanno questo trend: primi due giorni di boom, magari di chi aveva messo sott’occhio il capo da acquistare, e poi dopo una settimana, in alcuni casi anche prima, arriva il calo. Va detto che secondo me il dato è anche un po’ falsato, perché alcuni hanno iniziato con gli sconti, pur senza pubblicizzarli, subito dopo Natale, e cioè prima dell’avvio ufficiale. Ma il tema di fondo è che il mondo sta cambiando». E cosa fa, il mondo, dunque anche la politica che viene spesso evocata, per accompagnare questo cambiamento? «L’amministrazione comunale può attuare una strategia di marketing territoriale, certo, ma molto dipende dai governi nazionale e regionale. Ad esempio il nuovo regolamento per il commercio e gli artigiani». Cosa possono fare i governi, nello specifico? «Il governo nazionale deve trovare una soluzione, ad esempio, per la tassazione dell’e-commerce, soprattutto dei colossi, perché in questo campo continua ad esserci poca chiarezza. Oppure può ragionare sulla riduzione della tassazione sul personale, il cui costo troppo alto è uno dei motivi per cui molti negozi, specie i più piccoli, non aprono la domenica o nelle pause pranzo. Si dovrebbe intervenire sulle difficoltà nell’accesso al credito, il governo regionale deve accelerare sul piano del commercio. Piccole e grandi cose, che possono aiutare e tanto». E il Comune? «A livello locale si può attuare una strategia di marketing territoriale, fare isole pedonali, pensare a piccoli sgravi fiscali, affrontando anche il tema degli affitti». Come si supera questa difficoltà degli affitti troppo alti? «Un’idea potrebbe essere pensare a sgravi fiscali legati ad affitti calmierati, anche se fondamentalmente si tratta di proprietà private e un ente pubblico può far poco. Il grande quadrilatero del centro, lo sappiamo, è sostanzialmente in mano a una decina di famiglie. Alcuni aprono sperando di farcela, ma poi i costi si rivelano troppo alti». Quanto pesa l’affitto di un locale? «Di norma l’affitto dovrebbe incidere per il 10%, ma in alcuni casi si arriva e si supera il 30%. Se aggiungiamo il costo del personale, le utenze e il resto, capiamo che diventa dura. Alcuni non fanno bene questi calcoli, le voci sono tante, ma c’è anche poca formazione imprenditoriale in alcuni casi. E poi mancano i soldi». In che senso? «I consumi vanno diminuendo, c’è poca capacità di spesa. Da questo punto di vista, va detto che il reddito di cittadinanza creava liquidità che circolava. È cambiato anche il modo di consumare, c’è una spesa più responsabile, si preferiscono prodotti di qualità minore a beni dai costi proibitivi. E infatti anche il lusso, che è appannaggio di pochi, è in crisi».