
Si conclude dopo ben 18 anni dai fatti contestati la vicenda giudiziaria che ha visto coinvolto un 52enne portalettere, già licenziato da Poste Italiane poiché accusato di soppressione di corrispondenza.
La Corte di Cassazione ha infatti sancito definitivamente il diritto al reintegro del lavoratore, come riconosciutogli due anni addietro con sentenza della Corte d’appello di Messina che dispose anche il pagamento di un’indennità risarcitoria ed il versamento dei contributi previdenziali ed assistenziali dal giorno del licenziamento a quello dell’effettivo reintegro. Decisione che Poste Italiane, pur provvedendo nelle more al reintegro del dipendente, aveva impugnato di fronte alla Suprema Corte.
Il contenzioso scaturisce dall’accusa mossa al portalettere di aver abbandonato una cospicua mole di corrispondenza che, nel 2007, fu rinvenuta in un cestino dell’immondizia nel territorio di Ucria. Il procedimento penale al Tribunale di Patti si concluse nell’aprile 2017 con il non luogo a procedere per intervenuta prescrizione dell’ipotesi di reato, tuttavia il dipendente, nel frattempo stabilizzato con contratto part time e poi a tempo indeterminato, fu licenziato nel marzo 2020.
Una prima sentenza della sezione lavoro del Tribunale di Patti, cui l’uomo si rivolse rappresentato dall’avvocato Salvatore Caputo, gli riconobbe un’indennità pari a 18 mensilità di stipendio per tardiva contestazione, escludendone però la riassunzione poiché ritenuto comunque probabile responsabile dell'abbandono della corrispondenza. Pronuncia riformata in appello nel dicembre 2022 per l’assenza di prova che l’uomo fosse in servizio il giorno in cui si erano verificati i fatti contestati e che dunque fossero effettivamente ascrivibili allo stesso, dichiarando nullo il licenziamento per il conseguente venir meno delle ragioni di giusta causa.
Sentenza, questa, confermata adesso dalla sezione lavoro di Cassazione che, ribadendo l’insussistenza della prova della commissione del fatto ad opera del lavoratore, ha dichiarato inammissibile il ricorso di Poste Italiane, rappresentata dall’avvocato Giampiero Falasca, con condanna al pagamento delle spese del giudizio per 5.500 euro, oltre accessori.

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