Sono state rese note le motivazioni della sentenza del giugno scorso con la quale la seconda sezione penale della corte d’appello di Messina presieduta dal giudice Bruno Sagone e composta dalle colleghe Daria Orlando e Silvana Cannizzaro, ha totalmente ribaltato il verdetto di condanna pronunciato dalla prima sezione penale del tribunale nel gennaio del 2017 a carico di Gaspare Sceusa, Letterio Frisone e Maurizio Maria Trainiti per l'incidente stradale del luglio 2013 lungo la tangenziale al viadotto Bordonaro, che provocò la morte della giovane commessa 27enne Provvidenza Grassi. Un caso che per mesi destò l'attenzione delle cronache nazionali.
Secondo quanto emerge dalle motivazioni, e sulla scorta di una complessa ricostruzione della dinamica del sinistro, affidata al perito, l'ing. Santi Mangano, si sarebbe rivelato molto probabilmente fatale già il primo impatto che l’autovettura subì a velocità sostenuta contro il muro della galleria prima, di incontrare nella sua traiettoria il terminale di barriera posto a protezione del viadotto Bordonaro e precipitare lungo la scarpata.
Infatti, secondo le valutazioni dei giudici, supportate dalla consulenza tecnica e dai riscontri dell'autopsia, che fu effettuata per la Procura dal medico legale Elvira Ventura Spagnolo, il primo devastante impatto avvenne ad una velocità pari a 105 km/h e senza l’uso delle cinture, fatto questo che avrebbe potuto da solo provocare il decesso della ragazza con una probabilità pari o superiore al 70%. Si sarebbe quindi rilevato del tutto ininfluente per i giudici, ragionando in linea con il pronunciamento della di Cassazione con la nota sentenza “Franzese”, la verifica della collocazione “a norma” del terminale di barriera, e la riconducibilità della condotta colposa attribuita agli imputati nelle rispettive cariche ricoperte all'epoca all'interno del Cas.
La condanna, in primo grado, poggiava sulle risultanze di una consulenza tecnica della Procura, che aveva concluso nel senso di ritenere che una barriera collocata in aderenza all’ingresso della galleria, anziché distante 40 cm come venne rilevato sui luoghi, avrebbe evitato la precipitazione dal viadotto ed il conseguente decesso della passeggera.
A questa prospettazione si erano opposti con gli atti d’appello sia gli imputati che il responsabile civile, il Cas, su un punto molto preciso: nessuna barriera sarebbe stata in grado di scongiurare la tragedia posto che - secondo le risultanze dei consulenti di parte - fu il primo impatto dell’auto contro la parete della galleria, a velocità elevata, a produrre le lesioni riscontrate durante l’autopsia dal medico legale Elvira Ventura Spagnolo sul corpo della giovane ragazza la quale, peraltro, non aveva allacciato la cintura di sicurezza.
Tra le carte dell’inchiesta c’è in più atti la ricostruzione della dinamica dell’incidente verificatosi al chilometro 5+700 della tangenziale di Messina nella notte tra il 9 e il 10 luglio del 2013. La Fiat 600 condotta da Provvidenza Grassi, mentre percorreva la galleria denominata “Bordonaro”, giunta in prossimità dell’uscita sbandò sul lato sinistro della carreggiata e impattò contro il terminale della barriera di protezione, collocato ad una distanza di 40 centimetri dalla parete e a un’altezza di 55 centimetri dalla superficie, provocando così, questi effetti: l’utilitaria sormontò la barriera di protezione sino a perdere il contatto col suolo e a sbalzare fuori dalla sede stradale, per poi precipitare nella scarpata sottostante e impattare contro un albero. La povera Provvidenza rimase come inghiottita nel nulla per mesi nonostante le ricerche a vasto raggio. Venne ritrovata soltanto il 23 gennaio del 2014, nella scarpata sottostante.
Nella lunga vicenda processuale hanno difeso gli avvocati Valter Militi, Giuseppe Pustorino, Carmelo Galati, Luigi Azzarà, Giuseppe Lo Presti e Francesco Torre.
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