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Messina, 43 uomini maltrattanti in 8 mesi. La storia di Fabio: "Ecco chi ero. Cambiate"

Sono in molti a non credere nel cambiamento di un uomo maltrattante, anche perché si pensa che spesso si cerchi soltanto una strada alternativa al carcere o, ancora perché, sono troppe le volte in cui una donna, nonostante le denunce, viene nuovamente aggredita o peggio ancora uccisa dall'ex

“Nei 20 anni di attività abbiamo riscontrato che molte donne vittime di violenza di genere sono ritornate con il compagno violento e abbiamo deciso di cominciare a lavorare anche sugli uomini creando un centro che offrisse un percorso psicoeducativo finalizzato a ridurre il rischio di recidive". Da lì, a piccoli passi, anche a Messina, accanto alla grande attività svolta dalle diverse associazioni che si occupano di donne vittime di violenza, ha iniziato a farsi strada l'idea della necessità di attivare percorsi di cambiamento rivolti agli uomini.

Cettina Restuccia, anima di Evaluna onlus, traccia un bilancio di quella è stata l'attività del CUAV (Centro Uomini Anti Violenza) di Messina fino ad oggi: “Abbiamo accolto 43 soggetti in 8 mesi, di cui 18 utenti in sospensione condizionale della pena, 12 in esecuzione penale, 10 con protocollo Zeus e 3 volontari”.

Sono in molti a non credere nel cambiamento di un uomo maltrattante, anche perché si pensa che spesso si cerchi soltanto una strada alternativa al carcere o, ancora perché, sono troppe le volte in cui una donna, nonostante le denunce, viene nuovamente aggredita o peggio ancora uccisa dall'ex.

“Ancora non è abbastanza, ma la normativa – spiega la presidente del Centro Evaluna onlus – è stata inasprita. Ai soggetti incensurati, ad esempio, si applica la sospensione condizionale della pena e, oggi, sono almeno obbligati a fare un percorso al CUEV che prima non era neanche contemplato”.

Dei 43 soggetti presi in carico dal CUAV di Messina solo uno, in sospensione della pena, ha avuto una presunta recidiva mentre svolgeva il percorso. Tutti quelli che hanno iniziato il protocollo Zeus rivolto, invece, a chi ha subito un ammonimento e senza frequenza obbligatoria, lo hanno completato.

“Questi dati – afferma la Restuccia – ci dicono che si tratta di una realtà che funziona, anche se ci siamo rese conto, attraverso i contatti con le vittime, che nessuna è passata attraverso un centro anti-violenza, probabilmente perché si pensa che serva solo nella fase della denuncia o per l'assistenza legale, mentre è utile ribadire che si lavora a 360 gradi, dal sostegno psicologico, all'accompagnamento in tribunale, all'attivazione di borse lavoro, del microcredito di libertà, nei rapporti con il servizio sociale”.

Ma forse la più grande testimonianza del fatto che si deve comunque sempre provare a cambiare un uomo maltrattante è la lettera con cui un utente del CUEV di Messina spiega chi era e il percorso che ha fatto.

E' con queste parole che Fabio – lo chiameremo così – racconta come e perché è stato un uomo maltrattante e chi è oggi: “Un bambino che non conosce un colore non lo userà mai nei suoi disegni. Spesse volte non riusciamo a cogliere l’entità degli atti di violenza più diffusi e che vengono ritenuti insignificanti, come dire “stai zitta”, e quelle più gravi di cui la cronaca è piena, oltre a farci molta paura sembrano fin troppo lontane da noi. Rischiamo quotidianamente di non riuscire a cogliere l’importanza della nostra personale responsabilità quando parliamo della qualità delle nostre relazioni. La mia storia è quella di bambino a sua volta vittima di gravi violenze in famiglia, che non ha avuto alcun aiuto e che non ha conosciuto molte sfumature di colore fino all’età adulta. Tutto questo mi aveva da sempre influenzato, soffrendo anche una patologia che genera un malessere psichico di fondo, come un rumore persistente, che ti accompagna sempre, che rende ancor più fragili e ancor meno temperati dal raziocinio. Allora si commette l’errore che si rivela fatale, ed in questa circostanza, quando sfortunatamente era tardi per tutelare le vittime della violenza nonché me stesso, ho conosciuto Evaluna. Pian piano lì mi sono stati forniti gli strumenti per rompere quei meccanismi inconsci di causa effetto. Noi soggetti maltrattanti siamo accomunati da caratteristiche omogenee di provenienza e di percorso interiore ed al tempo stesso ognuno di noi rappresenta, nella sua unicità, una storia non ripetibile, alla quale risulta necessario cercare di dare un “senso” nel tentativo di imparare a conoscere quei colori nuovi da poter utilizzare nel proseguimento del proprio disegno di vita. L’operatrice di Evaluna ha aperto una strada nuova: mi ha fatto comprendere che obbedivo ciecamente a dei trigger, come un automa. Mi ha mostrato una foto reale di cosa avevo e di cosa stessi rischiando di perdere irrimediabilmente. Ho creato una separazione sostanziale tra quello che avevo subìto e quello che volevo essere. Mi ha prestato il poema di Guido Celli “Trilogia della cicatrice” che è il riflesso della vita mia in giovinezza. La sua e la mia storia, anche se tremendamente simili, hanno sfondi culturali e protagonisti diversi: anche gente che non proviene dal sottoproletariato e che ha addosso la condanna di un abito borghese, che gli toglie la voce di gridare, può ritrovarsi protagonista delle stesse vicende, all’interno di simili dinamiche. La cultura che rende difficili da vedere i nostri errori e le nostre ferite ci accomuna tutti.

Non lo dimentico: mi ha dato affetto e fiducia in quel buono che c’era in me, che è emerso e che oggi conquista chi è a contatto con me e conquista mia moglie e i miei amati figli. Tutti adesso. Tutti finalmente. E me stesso anche. Conosco il pregiudizio, non ho fatto mistero dei miei occorsi e ho perduto tante relazioni sociali. Ricordo molto bene che a dicembre scorso ero stato da poco condannato per la mia colpa, con il beneficio di una pena sostituiva alla reclusione, avevo già terminato il mio percorso psicoeducativo presso il CUAV Evaluna. Sono stato aiutato e sono stato assolto non già da un tribunale che deve comunque svolgere un suo compito, quanto da una persona che ha fatto in modo che ottenessi l’assoluzione più importante che si possa avere: quella fatta da me stesso”.

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