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«Il Ponte sullo Stretto di Messina occasione irripetibile per Messina»

La vicepresidente dell’Ordine degli architetti, Clarastella Vicari Aversa, delinea gli scenari della “città del Ponte”

Lo ha scritto sull’ultimo numero del Giornale nazionale dell’Architettura, paragonando il dibattito attuale sul Ponte a quello che si sviluppò, con toni anche veementi, a Parigi. E lo ribadisce anche alla “Gazzetta”. «Molti tecnici sostengono che la torre è destinata a crollare. I proprietari dei fabbricati vicini hanno intentato persino un processo chiedendo i danni. Noi scrittori, pittori, scultori, architetti, appassionati amatori della bellezza finora intatta, protestiamo con tutte le nostre forze contro l’erezione dell’inutile e mostruosa torre vertiginosa e ridicola, tutti i nostri monumenti umiliati, tutte le nostre architetture rese piccole. E per venti anni vedremo allungarsi l’ombra odiosa dell’odiosa colonna di ferro imbullonata». La vicepresidente dell’Ordine degli architetti di Messina, Clarastella Vicari Aversa, ricercatrice in Progettazione architettonica e urbana all'Università di Reggio Calabria e con un dottorato di ricerca europeo alla “Esquela Tecnica Superior de Arquitectura” di San Sebastian, in Spagna, parte da questa considerazione: «La storia si ripete. Sembrano parole di oggi contro il Ponte sullo Stretto, ma è la descrizione della “accoglienza” inizialmente riservata alla Tour Eiffel di Parigi, riportata da Leonardo Benevolo nella “Storia dell’Architettura moderna”. Tra gli oppositori anche Maupassant e Zola. Salvo poi, come riferisce lo stesso Benevolo, cambiare idea: “Davanti al fatto – e che fatto! – compiuto bisogna inchinarsi”. Le opposizioni al Ponte sembrano quelle alla Tour Eiffel...».

«Il no ideologico» Vicari Aversa cita «quanto espresso nei giorni scorsi durante la II Biennale dello Stretto dall’antropologo e docente universitario Mauro Francesco Minervino, e sembra tutto un déjà vu: “La grande opera faraonica, acciaio e cemento in dimensioni mostruose serve ad alimentare il folle e puerile senso di onnipotenza delle classi dirigenti attualmente alla guida del Paese. Personaggi che uno psichiatra definirebbe soggetti affetti da delirio psicotico e sindrome magico-infantile”. Un intervento, quasi un anatema, che invita a rispondere con i dati, viste le ulteriori osservazioni sui “Rischi del fragilissimo contesto geologico dell’area dello Stretto, i venti, la sismicità, il fatto che il Ponte, data l’altezza dell’impalcato prevista dal progetto, non consentirebbe il passaggio alle meganavi di più recente costruzione, che superano i 70 metri di altezza, poi l’insostenibilità economica del rapporto costi-benefici; l’assenza di qualsiasi seria valutazione d’impatto ambientale e conseguenze sociali”. Viviamo un’epoca di polarizzazione e qui, plasticamente, si ripropone una divisione più ideologica che di merito. Di quest’ultimo è il caso di scrivere, partendo da una constatazione: il territorio interessato è stato stuprato senza rispetto per la sua storia, e forse ora si ha l’occasione di un suo riscatto. Si tratta di salvaguardare i luoghi, migliorandoli insieme con il Ponte. Sono forse deturpati o non altrettanto densi di storia il Bosforo, tra due continenti non meno evocativi di Scilla e Cariddi? O Suez, unione e distacco tra Africa e Asia? Nessuno metterebbe in dubbio che siano crocevia del mondo, mitologici, dal fascino attuale».

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