Tra fallimenti e nuove iniziative imprenditoriali, l’impero creato dall’imprenditore Nunzio Scozzafava, 73 anni di Messina, e dal figlio Augusto Scozzafava, 33 anni di Milazzo, considerati amministratori di fatto delle fallite società amministrate da Carmelo Bellinvia, 60 anni di Castroreale, che investigatori ritengono invece proforma, resta alla guida delle sue attività. Infatti, il gip del Tribunale di Barcellona Giuseppe Caristia, accogliendo la richiesta di misura cautelare reale avanzata dai magistrati della Procura di Barcellona – in relazione a tutti i reati di bancarotta fraudolenta contestati alle tre persone ai vertici delle cinque aziende fallite – ne ha disposto il sequestro preventivo cosiddetto “impeditivo” del centro commerciale “La Rotonda shopping center”.
La formula adottata per il sequestro permetterà agli esercizi commerciali estranei alle vicende giudiziarie dei proprietari di continuare a svolgere le attività presenti in loco. Il complesso immobiliare poi diventato “La Rotonda shopping center”, pur sequestrato con iscrizione nel registro immobiliare per impedirne la vendita non ha avuto nominato dall’Autorità giudiziaria il custode giudiziario per curarne la gestione. Il complesso immobiliare con destinazione commerciale è nella disponibilità della nuova società C.S.E. srl, società di proprietà di Nunzio e Augusto Scozzafava. Gli stessi azionisti indagati lo avrebbero distratto dalla disponibilità della fallita società “Pelka Distribuzioni srl”. Infatti, lo stesso complesso che ospita altre società commerciali gestite da terzi che pagano importanti somme per gli affitti resterà nella disponibilità degli azionisti indagati che evidentemente incasseranno le quote degli affitti. Il valore del compendio sequestrato è stato valutato in oltre 15 milioni di euro. Nelle more dei numerosi fallimenti che si sono succeduti come un effetto domino, gli stessi imprenditori hanno fondato nuove società che gestiscono altre attività, anche relative alla ristorazione.
Si attende adesso la chiusura delle indagini per i diversi casi di bancarotta fraudolenta contestati ai tre indagati artefici della creazione di scatole cinesi servite per utilizzare i fondi societari delle oltre cinque società dichiarate fallite perché spogliate dei capitali.
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