«L’Italia è in grado di realizzare infrastrutture? Il nostro Paese ha le potenzialità, pur non vivendo certo il periodo più florido degli ultimi anni, di mettere in piedi mega opere? È questa una delle domande più frequenti relative alla possibile costruzione del Ponte sullo Stretto di Messina. Un quesito che si è fatto strada ultimamente per via delle note vicende che hanno colpito la penisola». A scriverlo è Mauro Indelicato su “Inside Over”, un’ampia riflessione, densa di spunti, più o o meno opinabili, che s’inserisce nel dibattito sulle questioni infrastrutturali del Paese (un angolo di visuale un po’ più ampia rispetto a quella ristretta delle vicende e polemiche locali).
Una riflessione che parte «dal disastro del viadotto Polcevera, più comunemente noto come “Morandi”, a Genova. In quell’occasione, il ponte sull’autostrada A10 che attraversa il capoluogo ligure è parzialmente collassato portando con sé oltre 40 vite e contribuendo a dare dell’Italia un’immagine di Paese decadente. La ricostruzione, arrivata nel giro di pochi anni, ha solo parzialmente ridato slancio al soft power legato alle infrastrutture. La mancata manutenzione del viadotto precedente e le falle emerse nella gestione dell’opera, sono rimaste come macchie indelebili per la nomea della penisola all’estero.
L’immagine collegata allo stato di salute delle reti infrastrutturali non è secondaria. Ci sono Paesi che sulla costruzione di grandi opere basano il proprio “soft power”. Si pensi alla Cina che dei suoi nuovi viadotti e delle sue nuove ferrovie, oramai diffuse capillarmente in tutto il territorio, ha fatto il simbolo della sua espansione economica. Oppure, per rimanere in Estremo Oriente, si pensi anche al Giappone, famoso in tutto il mondo per i treni ultra veloci e le sue infrastrutture tecnologicamente molto avanzate. Si pensi anche al valore politico dato in Russia alla costruzione del ponte sullo stretto di Kerch in Crimea, non a caso oggi tra gli obiettivi più sensibili nel conflitto con l’Ucraina.
Ci sono poi città – prosegue Indelicato – in cui molte grandi opere, concepite per funzioni legate al trasporto, sono diventate mete turistiche e simboli di intere comunità. Il riferimento è ad esempio al Golden Gate di San Francisco oppure al Ponte di Brooklyn di New York. In altri contesti, strutture al momento solo immaginate e non emerse nemmeno su documenti progettuali fanno già parlare di sé, come nel caso del tunnel sottomarino di 14 km che Marocco e Spagna vorrebbero costruire per collegare direttamente Africa ed Europa.
Ma anche il nostro Paese, negli anni del boom economico, ha avuto nella costruzione di grandi opere una delle migliori cartine tornasole internazionali. L’Autostrada del Sole, giusto per citare un caso, ha rappresentato da subito la nuova spina dorsale della penisola e la sua apertura ha avuto un importante rilievo internazionale. Una circostanza non da poco e non legata esclusivamente alla vanagloria: la costruzione di opere del genere nel secondo dopoguerra ha alimentato le credenziali dell’Italia in un settore, come quello manifatturiero, in cui Roma ancora oggi si attesta al secondo posto assoluto in ambito europeo. L’ultimo dato riportato, quello relativo al settore manifatturiero, fa comprendere come l’Italia abbia al suo interno le potenzialità per scommettere sulla costruzione di importanti opere. Del resto, di grandi infrastrutture ne stiamo costruendo molte all’estero». E, dunque, il Ponte come l’Autostrada del Sole?
l.d.
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