Questo sito contribuisce all’audience di Quotidiano Nazionale

Messina, all'Apollo “Gli Immortali”: l’opera di Anne-Riitta Ciccone tra realtà e denuncia sociale

La regista: «Questo film l'ho promesso a mio padre»

I legami familiari e l’elaborazione del lutto, in un film dal realismo magico fra dramma e distopia, storia personale e denuncia sociale, realtà e onirismo.
“Gli immortali” di Anne-Riitta Ciccone è in sala dal 20 giugno scorso per Vision Distribution ed Europictures, dopo la presentazione fuori concorso all’ultima Festa del Cinema di Roma (sezione “Freestyle”). Un’opera autobiografica sul calvario del padre della regista messinese, con Gelsomina Pascucci nei panni di Chiara, tecnico delle luci, e il catanese David Coco nel ruolo di Vittorio, suo padre.

Mentre la ragazza sta lavorando ad uno spettacolo di teatro-danza tratto da “Le Baccanti”, la celebre tragedia di Euripide sul dio Dioniso, Vittorio torna nella sua vita affetto da una malattia considerata sulla Terra come una punizione divina, portandola a fare i conti con la più atavica delle paure umane.

Il film sarà presentato da Ciccone con Pascucci e il montatore Lorenzo D’Amico De Carvalho oggi alla Multisala Apollo di Messina, dopo Siracusa (Cinema Vasquez) e Catania (Cinema Ariston), con prossima tappa il 23 a Palermo (Cinema King). «In ospedale promisi a mio padre che avrei fatto un film su quello che stava vivendo – racconta Ciccone – poiché avevo notato un trattamento disumano verso chi era affetto dal suo stesso virus. Non lo realizzai subito, ma a seguito di circostanze che mi hanno riportata al progetto e a mio padre».

Facendo un parallelismo tra le vicende di Chiara e il testo euripideo, si coglie un’integrazione tra le tipicità della tragedia greca e quelle della fantascienza distopica. Perché questa scelta narrativa?
«Quando ho cominciato a scrivere il copione ho pensato di rendere l’universalità dell’elaborazione del lutto con un’eucarestia capace di portare lo spettatore sul palcoscenico del mio inconscio, come un loop in cui la mente rielabora il trauma cercando di comprendere i motivi del suo accadimento. È una linea narrativa che trascina lo spettatore tra mostri, paure e ricerca di soluzioni, con riprese, realizzate col Dop Leone Orfeo, che hanno il ritmo degli incubi e mostrano gli ambienti assurdi in cui si trova la protagonista, come l’ospedale, reso dalla sua mente in modo teatrale e grottesco, come una struttura bombardata. C’è quindi una narrazione polifonica che vent’anni fa non sarebbe stata apprezzata e recepita allo stesso modo dal pubblico».
Non mancano infatti nel racconto allusioni al periodo del Covid, a malasanità e cattivo sindacalismo…
«Il riferimento al Covid è stato casuale, perché il copione era stato scritto nel 2004, tanto che a febbraio 2020 il produttore Simone Gattoni mi scrisse da Berlino che tutti avevano le mascherine come nella storia. Il ritratto dei sindacati cita il film d’animazione “Le 12 fatiche di Asterix”, perché mi sono trovata realmente in situazioni di quel tipo, con addetti ai lavori che non volevano avere niente a che fare con i datori di lavoro di mio padre. Però avevo promesso a papà che il film avrebbe trattato non solo la catarsi dal lutto, ma anche la fisionomia del nostro rapporto e lo spirito combattivo suo e della generazione sessantottina. Era un subplot importante per mettere in luce come Chiara fosse più simile al padre di quanto non si rendesse conto, mostrando un mondo esterno da combattere, sempre in parallelismo con Penteo, il re di Tebe antagonista di Dioniso».
Prodotto The Film Club e Launchpad39a con Rai Cinema, il film vede nel cast anche l’attrice palermitana Roberta Sardella, la caltagironese Flora Contrafatto e la messinese Maria Grazia Cucinotta, nei panni di un medico.

Caricamento commenti

Commenta la notizia