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Morì per un'emorragia dopo il parto a Sant'Agata di Militello: condannata ginecologa per omicidio colposo

La donna era una 36enne residente in un paese dei Nebrodi, che nel marzo 2016 diede alla luce la propria figlioletta all’ospedale santagatese.

Diventa definitiva la condanna a sei mesi di reclusione, con la sospensione condizionale della pena, nei confronti di una ginecologa accusata di omicidio colposo a seguito della morte di una giovane donna, deceduta poco meno di dieci anni addietro, era infatti il 2016, poco dopo il parto.
La Quarta sezione penale della Corte di Cassazione ha infatti dichiarato inammissibile il ricorso con cui la specialista Lucia Dotto, all’epoca dei fatti in servizio al reparto di Ostetricia e ginecologia dell’ospedale di Sant’Agata Militello, aveva impugnato la decisione della Corte d’Appello di Messina che, nel luglio dello scorso anno, aveva confermato integralmente la sentenza di primo grado emessa nel novembre 2022 dal giudice del Tribunale di Patti Edoardo Zantedeschi.
La puerpera era una 36enne di nazionalità straniera residente in un paese dei Nebrodi, che nel marzo 2016 diede alla luce la propria figlioletta all’ospedale santagatese.
Un parto naturale apparentemente normale ma, improvvisamente, le condizioni della donna peggiorarono a causa di una copiosa emorragia per cui fu necessario il trasferimento d’urgenza nel reparto di Rianimazione dell’ospedale di Patti dove morì poco dopo.
Alla ginecologa che seguì il parto fu quindi imputato di non aver effettuato adeguatamente la rimozione della placenta e non aver adeguatamente trattato, in conformità alle linee guida ed alle buone pratiche mediche, l’emorragia ostetrica ritenuta dall’accusa all’origine del decesso della donna straniera trentaseienne.
Agli atti il referto dell’autopsia eseguita nell’immediatezza dell’accaduto e le perizie medico legali dei consulenti nominati dal pubblico ministero e dalle parti.
Diversi i motivi di impugnazione proposti dalla difesa, rappresentata dall’avvocato Alberto Gullino, rigettati però dai giudici di Cassazione che hanno condannato l’imputata al pagamento delle spese processuali e di quelle sostenute nel giudizio dalle parti civili, il marito e la figlia della vittima, rappresentate dall’avvocato Antonella Marchese, che aveva presentato proprie memorie.

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