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Messina, droga a Camaro: quei cognomi che ritornano...

Gli stessi cognomi e i soprannomi che ritornano. Per esempio i Genovese della stirpe degli “indigeni”, poi i Ferrante, e i Prugno. Un traffico di droga che promette tra le sue pieghe ancora coperte, di cambiare completamente la prospettiva di un duplice omicidio. E Camaro che “riconquista” un ruolo nella rete della criminalità organizzata.
Una volta quel feudo si chiamava “zona centro”, l’ultimo a governarlo è stato Carmelo Ventura insieme al decano Santi Ferrante - lo ha scritto più volte la Dia -, prima ancora era territorio assoluto del boss poi pentito Luigi Sparacio. Ma questi sono fatti mafiosi degli anni ’90, che quasi nessuno si ricorda più.
L’operazione antidroga coordinata dalla pm della Dda Antonella Fradà che ha lavorato con la Mobile, nata durante le indagini per il duplice omicidio di Camaro, sfociata martedì in una decina di arresti, ci dice alcune cose. Soprattutto che in un primo momento non era forse stata compresa appieno la figura emergente di Claudio Costantino, il 39enne ritenuto a capo del giro di stupefacenti e attualmente in carcere per il duplice omicidio del 2 gennaio 2022, quando uccise Giovanni Portogallo e Giuseppe Cannavò con una calibro 9per21 che non è stata mai più ritrovata.
Tre elementi soltanto danno poi la misura di tutto, raccontati dalla gip Ornella Pastore nella sua ordinanza. La capacità prima di tutto economica di Costantino di avere un telefonino in carcere per continuare a gestire tutto. La perseveranza del gruppo a proseguire nei rifornimenti in Calabria nonostante gli arresti e i sequestri di droga, con la gestione della sua compagna Alessandra Patti, l’inquietante conoscenza, sempre da parte di Costantino, che nelle case dello spaccio erano state piazzate microspie. Bisognerà capire se erano solo sue supposizioni “d’esperienza” o vere e proprie fughe di notizie.

E ci sono un paio di dialoghi, tra i tanti, intercettati dalla Polizia, che sono parecchio emblematici. Con Costantino in carcere sono i suoi adepti, Francesco Ferrante e Francesco Genovese, che parlano tra di loro sul “cosa fare” e poi con uno dei fornitori calabresi, Giuseppe Saffioti, soprannominato “fulmine”.
Dal contenuto del dialogo - scrive la gip Pastore -, si ricava agevolmente che la trasferta era stata in origine programmata per la consegna di una somma di denaro ai fornitori calabresi ma, una volta giunto lì, Ferrante aveva appreso che si sarebbe dovuto occupare anche del trasporto di sostanza stupefacente a Messina in quanto un soggetto di nome Claudio (ovvero Costantino spiega la gip, n.d.r.) aveva stabilito che in occasione di ogni consegna di denaro si sarebbe dovuto ritirare lo stupefacente (“aveva tutte cose preparate, io gli ho detto... ma perché tu non sai niente? ... No, gli ho risposto, io sapevo che ti dovevo portare i soldi... e basta ... e mi dovevi dare due provini... perché Claudio ha riferito che ad ogni viaggio che portano i soldi si deve scendere il materiale”) e Genovese sembrava concordare con tale decisione (“si deve scendere il materiale”).
Nel corso del dialogo intercettato subito dopo - scrive la gip Pastore -, Ferrante afferma che “fulmine”, (soprannome con cui deve identificarsi Saffioti Giuseppe) aveva scambiato dei messaggi, in sua presenza, con una terza persona, da identificarsi in Costantino Claudio, il quale lo aveva incaricato di consegnare la sostanza ad una terza persona, da identificarsi proprio nel Genovese (“io una volta là e quello giustamente mi dice, fulmine dice a me... ha portato ... incompr . . . “compare non preoccuparti!”... io sono qui, io sono qui. Ma mi fai ridere! Gli ho detto: “senza offesa qui cattiva figura non ne facciamo, nè con Claudio e nè con voi!” Non esiste proprio! “Solo che io dovete capire che sono qua e ci dobbiamo organizzare ... incompr... ma so organizzarmi... non preoccuparti facciamo quello che dobbiamo fare” ...).
Tornando alle solite procedure giudiziarie di ogni indagine, la gup Pastore ha fissato per venerdì mattina la giornata degli interrogatori di garanzia, alcuni in carcere e altri attraverso la piattaforma Teams. Il collegio di difesa è formato dagli avvocati Salvatore Silvestro, Domenico Andrè, Filippo Pagano e Tino Celi. In atto poi uno degli indagati, Luigi Serena, è ricoverato e quindi si dovrà attendere.

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