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Ecco perché il Ponte è decisivo: l’esperto Di Maria replica ai dubbi emersi nella trasmissione “Report”

Una elaborazione grafica del progetto definitivo del ponte sullo Stretto di Messina, tratto dal sito www.projectmate.com. Il via libera del cda della Stretto di Messina, presieduto da Giuseppe Zamberletti, su proposta dell'amministratore delegato Pietro Ciucci, ha completato l'iter di approvazione - avviato a metà giugno scorso - del progetto definitivo del ponte sullo Stretto di Messina e dei 40 chilometri di raccordi a terra stradali e ferroviari, comunica una nota della societa'.ANSA/INTERNET-WWW.PROJECTMATE.COM+++EDITORIAL USE ONLY - NO SALES+++

Stime sul traffico futuro, analisi costi-benefici, il Ponte e lo spopolamento, il perché di un collegamento stabile e le tesi del “ben altro”. Spunti forniti dalla recente trasmissione televisiva “Report”, che ha fatto discutere, suscitando l’ennesima polemica tra favorevoli e contrari. Ma vediamo di focalizzare alcuni aspetti, con il parere di un ingegnere trasportistico, Roberto Di Maria, fondatore di “Sicilia in Progress” e tra i più fervidi sostenitori della necessità del Ponte sullo Stretto per il rilancio dell’intero Mezzogiorno.

Poco traffico, niente Ponte?

Da “Report” è uscito un dato, ancor prima di altri: il Ponte non sarebbe in grado di superare l’analisi costi-benefici. Secondo il prof. Francesco Ramella, docente di Trasporti dell’Università di Torino, a causa della congiuntura negativa, i traffici previsti sull’asse viario e ferroviario tra Sicilia e Calabria sono molto meno consistenti di quelli immaginati dal progetto risalente a due decenni fa, «in presenza di una evidente crisi economica e di un declino demografico che appare molto serio». Una tesi che è stata ribadita con forza anche dal prof. Guido Signorino, docente di Economia al nostro Ateneo e già vicesindaco della Giunta Accorinti, oggi tra i fondatori del comitato “Invece del Ponte”, uno dei più attivi sul fronte del No.

«Ineccepibile – replica Di Maria –, crisi economica e declino demografico sono indubbi. E, dunque, il risultato del ragionamento è che siccome c’è la crisi economica e i traffici non possono crescere, allora è inutile realizzare un’opera che si giustifica solo in funzione di traffici rilevanti. In realtà, nel complesso campo delle opere pubbliche destinate alla mobilità, non si ragiona in questo modo. D’altronde, sulla base di queste premesse, chi avrebbe mai pensato di costruire strade o ferrovie in aree economicamente depresse, caratterizzati da uno scarso volume di traffico? Si pensi alle primissime linee ferroviarie, costruite nella prima metà del XIX secolo: si trattava sistemi di trasporto spesso realizzati in aree depresse, se non in mezzo al nulla, pressoché sperimentali dal punto di vista tecnologico e pertanto costituivano un investimento ad alto rischio di capitale.

Eppure tali ferrovie furono realizzate, e divennero un formidabile volano di sviluppo: lo fu la “Union Pacific Railroad” che collegava le due coste degli Stati Uniti, o la Transiberiana, tuttora la più lunga ferrovia mai realizzata, che attraverso steppe desertiche collegava le due estremità dell’impero russo: l’economia ed il traffico esistente giustificavano quegli enormi investimenti? Il ragionamento potrebbe essere fatto per centinaia di altri esempi come, in tempi più recenti per la costruzione dell’autostrada del Sole, realizzata in un’epoca in cui ci si muoveva ancora pochissimo, e per lo più su carretti a trazione animale. Eppure quell’autostrada venne realizzata per i mezzi a motore, ai tempi rarissimi, ed aveva una capacità di 3600 veicoli l’ora per direzione. Follia pura».

L’analisi costi/benefici

Di Maria lo evidenzia: «Prima di tutto bisogna capire come funziona l’analisi costi-benefici di un’opera di trasporto pubblico, che viene realizzata confrontando i costi della stessa con i benefici apportati alla comunità servita. I costi sono sia quelli di costruzione sia quelli di esercizio, comprensivi della manutenzione, ordinaria e straordinaria, necessaria a mantenere in efficienza l’infrastruttura. I benefici sono quelli realizzati grazie alla nuova infrastruttura e vengono “monetizzati” per essere paragonati ai costi ed eseguire il confronto. Se parliamo di un’infrastruttura di trasporto, vanno considerate soprattutto le economie realizzate nel miglioramento degli itinerari: minore spesa per il carburante e per l’energia consumata nel tragitto interessato grazie alla nuova infrastruttura, ma anche minori perdite di tempo.

In questo caso, anche il tempo viene “monetizzato” considerando il valore dello stesso su base orario. In generale, si prende a riferimento la paga media di un lavoratore: ogni ora risparmiata viene equiparata al costo di un’ora di lavoro mediamente pagata sul mercato. Ma naturalmente occorre considerare il minor impatto ambientale dell’opera grazie al minor consumo di energia e ridotta produzione di gas climalteranti: il cosiddetto “carbon footprint”. Tralasciamo i benefici “indotti”, vale a dire le opere collaterali che si aggiungono ad ogni infrastruttura realizzata. Gli elementi considerati per i benefici diretti sono proporzionali al traffico che utilizza la nuova infrastruttura: ogni automobile che la impegnerà farà risparmiare al conducente un tot.

Di carburante e di tempo per raggiungere la meta. Qualcosa del genere avviene per il trasporto di merci e per il traffico ferroviario. È evidente che maggiore è il traffico interessato, maggiori saranno i benefici realizzati con la costruzione dell’infrastruttura.

I flussi di traffico

«Vanno previsti, non semplicemente fotografati. E qui sta la chiave di tutto», secondo l’ingegnere. «In un’analisi costi-benefici men che seria, occorrerà innanzitutto stimare il traffico, estendendo la stima a tutta la via utile dell’opera. Come si fa? Non è molto semplice. Innanzitutto, non si può considerare il dato attuale “invariante”. Esso è sottoposto alle fluttuazioni della condizione socio-economica, difficilmente immaginabile per il futuro. In genere, tuttavia, si considerano le serie storiche dell’andamento del traffico, tramite le rilevazioni effettuate negli ultimi decenni, proprio per focalizzare un tempo abbastanza lungo da consolidare il dato. Se ci fermassimo qui, potrebbe essere condivisibile il ragionamento di Ramella: se devo collegare A e B e scopro che il traffico è in diminuzione, che la faccio a fare una nuova infrastruttura?

Ma l’Economia dei Trasporti, almeno quella che abbiamo studiato noi, ci dice cose un po’ diverse. La stima del traffico, infatti, non può essere fatta sul solo itinerario A-B. Occorre studiare tutti gli itinerari possibili che comprendano la tratta A-B, estendendo l’indagine ad un certo numero di percorsi possibili che potranno utilizzare la nuova infrastruttura. Per quest’ultima non passeranno solo i mezzi diretti da A a B, ma anche altri utenti che magari sceglieranno questo nuovo ramo di collegamento per viaggiare tra punti magari molto lontani da A e B. Parlando del Ponte sullo Stretto, i flussi di traffico sono ben diversi da quelli esistenti tra Messina e Villa S. Giovanni. Dal Ponte passerebbero tutte le relazioni Sicilia-Continente (tipo Palermo-Roma o Catania-Milano per fare due esempi) coinvolgendo tutti gli utenti che considereranno conveniente il nuovo itinerario.

Il confronto, nel caso particolare del Ponte, andrebbe fatto con altre modalità di trasporto, come l’aereo e la nave. Non esisterebbero, infatti, altri itinerari via terra alternativi al collegamento stabile sullo Stretto. L’analisi, pertanto, sarebbe molto più complessa di quanto non si pensi, e non si limiterebbe di certo a quest’area, né al momento contingente... L’analisi dei flussi di traffico sul Ponte, condotta in fase di progettazione di fattibilità, prevedeva proprio la presenza dell’opera di attraversamento, ovvero la situazione post-operam e la simulazione del traffico indotto in considerazione della sua presenza, con la redistribuzione tra i vari itinerari possibili». E, dunque, l’effetto della crisi «non può certo essere preso a pretesto per rinunciare a quest’opera, essendo dovuto anche alla sua assenza. Anzi, essendo la riduzione dei flussi di traffico il sintomo evidente di una marginalizzazione della Sicilia su scala globale, ciò dovrebbe accelerare la realizzazione del Ponte, che collegherebbe l’isola ad un corridoio europeo di primaria importanza, anziché metterne in discussione l’utilità».

Il Ponte e i Corridoi

Infine, un altro punto interrogativo: senza Ponte, a che serviranno le opere in corso sul Corridoio europeo?

«Si stanno investendo in Sicilia – ricorda Di Maria – oltre 9 miliardi di euro per potenziare agli standard europei dei Corridoi Ten-T, la direttrice Messina-Catania-Palermo e i 30 miliardi stimati per la Salerno-Reggio Calabria. Sicuramente non sarà sfuggito ai professori interpellati da Report che queste linee, senza il Ponte, rimarranno opere senza senso. Avremmo realizzato in Sicilia un Corridoio merci ad Alta capacità concepito per treni merci lunghi 600 metri che, semplicemente, non si riuscirebbero neanche a comporre per portare un qualsiasi tipo di merce da Palermo a Catania: converrebbe, semplicemente, trasportarle sui Tir. E ci troveremmo nell’impossibilità di utilizzare quelle linee per treni ad Alta velocità che, senza Ponte, semplicemente non potrebbero raggiungere la Sicilia. Evidentemente, per gli esperti sopra citati, non servirebbe ad un territorio depresso come quello siciliano, poter contare su un moderno sistema di trasporti merci inserito nella rete “Core” europea; né tanto meno l’Alta velocità, della quale è stato dimostrato il ruolo nell’incremento del Pil per i territori serviti, stimato intorno al 10% in più rispetto alle aree non servite».

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