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Messina, spaccio a Fondo Fucile. "Passa a prendermi le scarpe": i messaggi cifrati tra Fenghi e il marito

"Ma dove devo passare a prendere le scarpe?". Per gli investigatori, la droga "era terminata". AArena rincasa "con una busta di cellophane", senza alcun logo di un negozio

Dopo il blitz dell’operazione “La villetta”, effettuato dalla Squadra mobile e sfociato in sei misure cautelari, gli interrogatori di garanzia non hanno fin qui restituito altri elementi degni di nota. I due indagati principali, i messinesi Placido Arena, 36 anni, e la moglie Valentina Fenghi, 39 anni, ritenuti al vertice del sodalizio con epicentro a Fondo Fucile, si sono avvalsi della facoltà di non rispondere. Difesi entrambi dall’avvocato Salvatore Silvestro, hanno scelto di fare scena muta nel corso del faccia a faccia con la gip Simona Finocchiaro. E si registra già una novità sul fronte delle esigenze cautelari, visto che la stessa giudice ha disposto la scarcerazione di Fenghi, sottoposta adesso agli arresti domiciliari.
Restano dietro le sbarre, così come Arena, Gianluca Fenghi, Saverio Scudellà e Fabio Fenghi, mentre Domenico D’Amico risulta destinatario dell’obbligo di presentazione giornaliera all’Autorità di pubblica sicurezza, tra le 17 e le 18. Rispetto alle informazioni di garanzia e sul diritto alla difesa, sale a 11 il numero degli indagati, stando all’ordinanza di custodia cautelare firmata dalla gip Maria Militello. “A piede libero”, quindi, oltre ad Antonia Fenghi ed Esmeralda Giletto, anche Ester Caliri, Paolo Villari e Davide Loiacono.

Le esigenze cautelari

A Placido Arena, Valentina e Gianluca Fenghi e Saverio Scudellà il reato associativo è contestato dalla Direzione distrettuale antimafia, segnatamente dai sostituti procuratori Antonella Fradà, Piero Vinci e Alessandro Liprino. «Sebbene le indagini si fermano al 2020», la gip Militello ravvisa «l’attualità delle esigenze cautelari«, per il loro «sistema consolidato, svolto professionalmente, che difficilmente può sradicarsi nel giro di qualche anno». Per Arena, «promotore», l’«attività illecita costituisce la sua prevalente fonte di profitto». Lo stesso, peraltro, «ha continuato nonostante le condanne irrevocabili riportate, a conferma della sua refrattarietà all’osservanza delle prescrizioni imposte e, insieme alla moglie ha dotato l’abitazione di un sistema di videosorveglianza idoneo a eludere i controlli». Consorte che, rileva la giudice, «è riuscita ad assicurare l’attività di spaccio preso il sui domicilio anche dopo l’arresto del marito», con «una straordinaria capacità di organizzazione, indicando i turni» e «dando indicazioni al marito sulla retribuzione degli associati». Dal canto suo, pur incensurato, Gianluca Fenghi avrebbe «dato un significativo contributo» al sodalizio, «alternandosi nei turni con gli altri pusher e, insieme al cognato Saverio Scudellà, ha cercato di sopperire anche nei momenti di crisi in cui il fratello Fabio è uscito dall’associazione, mettendosi in proprio». Scudellà, invece, «ha assicurato» al gruppo «il suo turno di notte». Fabio Fenghi, poi, «ha continuato ad avere rapporti con la congrega criminale, approvvigionandosi dello stupefacente da vendere, mostrando, con tutta evidenza, di essersi dissociato solo per ragioni di convenienza».

L’inchiesta

Le indagini hanno avuto origine da una fonte confidenziale sullo smercio di droga in via 26/A, in una baracca di Fondo Fucile. Vengono avviati servizi di osservazione, da cui si riscontrano movimenti sospetti. Il 22 febbraio 2019, i carabinieri fermano la figlia di Valentina Fenghi, «convivente con Placido Arena, trovata in possesso della somma di 5.715 euro, suddivisa in banconote di piccolo taglio», si legge nell’ordinanza. Segue una perquisizione della casupola, al cui interno vi sono Arena e Fenghi. Portati alla luce un bilancino di precisione e 20 grammi di marijuana. Arena si assume ogni responsabilità, compresa «la paternità del denaro provento dell’attività di spaccio, dicendo di averlo affidato alla ragazza per nasconderlo». Per lui scattano i domiciliari, ma ciononostante, «torna a spacciare nella sua abitazione, dove ha fatto installare telecamere esterne per monitorare i soggetti che si avvicinavano; inoltre, una tettoia ripara l’anticamera, il cortile impedisce la visione anche dall’alto e una porta collocata nel muro esterno dello stabile consente di accedere a un’anticamera, luogo separato dalla casa da una seconda porta». Le telecamere diffondono le immagini all’interno della baracca, «come emerge da una fotografia postata da Arena su Facebook», dove sullo sfondo si vede un maxi schermo diviso in riquadri, che proietta immagini di videosorveglianza dell’1 gennaio 2020, che riprendono la parte esterna dell’abitazione. Gli investigatori vogliono vederci chiaro, allora predispongono riprese video della zona e appostamenti. Assistono a un continuo andirivieni di persone, molte delle quali fermate e trovate in possesso di sostanza stupefacente. Chi entra nella baracca, rimane per non più di due minuti. «Le visite non sono programmate» e si verificano «anche quando tutti i familiari sono in vacanza». Ulteriori spunti li forniscono le intercettazioni. Sotto la lente, quindi, «un’organizzazione di dimensione familiare».

Le intercettazioni

Il 25 gennaio 2020, alle 19.25, Valentina Fenghi telefona al marito e gli chiede di portale le scarpe: «Sei nel tuo mondo!... passa e prendimi le scarpe vaia, ciao!». Si tratta di «un riferimento chiaramente cifrato», tanto che Arena inizialmente non capisce: «Ma dove devo passare a prendere le scarpe?». Per gli investigatori, la droga «era terminata». Alle 19.46, Arena rincasa «con una busta di cellophane», senza alcun logo di un negozio di scarpe.

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