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Messina, addio al prof. Giuseppe Oreto: autentico luminare di cardiologia e raffinato poeta

È scomparso il prof. Giuseppe Oreto, già docente universitario di Cardiologia, direttore dell’Uoc di Terapia cardiologica intensiva ed interventistica del Policlinico. Figlio del prof. Pietro (negli anni 50 e 60 direttore della Clinica ortopedica dell’Università), nacque a Messina il 18 settembre 1949; conseguì la laurea in Medicina e Chirurgia nell’ateneo peloritano nel 1973, specializzandosi tre anni dopo all’Università di Padova in malattie dell’apparato cardiovascolare. Proseguì sulle orme del suo maestro, Leo Schamroth, un gigante nel campo dell’Elettrocardiografia deduttiva, tra i sudafricani più conosciuti nel mondo, cardiologico internazionale.

Agli scritti scientifici affiancò, dal 2011, pubblicazioni di testi poetici: alla silloge “Domina Donna Dono”, dedicata alla sua amatissima consorte, la dott. Maria Pia Calabrò, chirurgo pediatra, seguirono “Figure ombre bagliori” e, nel 2012, “Le voci del cuore”, in cui ascolta, da medico e da poeta, i battiti del “cuore infermo”, condividendo le ansie del paziente.

Tutti versi che evidenziano la medesima serietà di impegno e la medesima cura che poneva nell’attività professionale. Poesia non quale occasione di svago, ma scelta consapevole di un percorso arduo, nel quale, per usare l’espressione dantesca, “il lungo studio e il grande amore” di autorevoli poeti novecenteschi lo aveva condotto alla padronanza degli strumenti più idonei. La purezza e la limpidezza del dettato conquistate nel processo di affinamento e di ricerca di un’ infinita perfettibilità, divennero la cifra personale del poeta.

Di Oreto vanno ricordate in primis l’umanità, la grande umiltà e la sua fede concepita quale attesa, quale costante ricerca non esente da dubbi come è accaduto ed accade a tante anime grandi. Da ciò le iniziative, attuate insieme alla moglie, a favore delle popolazioni dell’Africa, e non solo, testimonianza del suo “modo di donarsi a chi soffre”.
La voce del suo cuore è racchiusa nello straordinario verso: “Io sono ognuno di quelli che incontro”.

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