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La morte di Lorenza Famularo getta ombre sulla sanità eoliana

Lorenza Famularo

La tragedia di Lorenza Famularo ha acceso i riflettori, in maniera diretta e forte, sulle più volte denunciate criticità della sanità eoliana. Come se i residenti di Lipari e delle altre “sorelle” dell’arcipelago fossero cittadini di serie B. Come se non avessero diritto a cure, assistenza. Ciò si evince chiaramente dal provvedimento firmato dal sostituto procuratore generale del Tribunale di Messina Giuseppe Costa, che ha avocato a sé il caso togliendolo dalle mani del collega Carlo Bray di Barcellona, che aveva chiesto l’archiviazione.
Nell’informazione di garanzia notificata a sette persone, richiesta di incidente probatorio e di proroga del termine delle indagini preliminari, si fa riferimento infatti a una «concatenazione di condotte colpose omissive», in corso di verifica, «che s’innestano sulle preesistenti e persistenti condizioni di mal funzionamento nelle quali versano i servizi sanitari nel territorio insulare eoliano».
Criticità, quindi, nuovamente sottolineate e accompagnate da due aggettivi affatto rassicuranti, che si richiamano a una condizione già – purtroppo – emersa e alla quale – nonostante tutto – non si pone rimedio. «L’isolana Lorenza Famularo non doveva morire e, soprattutto, non doveva morire “di sanità”», rimarca il sostituto pg. Peraltro, in un momento storico, come quello dell’emergenza Covid, in cui «proprio le evidenze e sintomatologie del virus erano caratterizzate da aggressioni al sistema respiratorio e all’apparato polmonare». Che nel caso della giovane, «ad avviso di chi scrive, avrebbero dovuto giustificare vieppiù le più elevate e approfondite cautele diagnostiche». Ed ecco che l’attenzione si sposta sui consulenti del pubblico ministero, che, «tra i tanti punti passibili di critica se non di censura, dando per scontato che la dispnea non fosse stata riferita dai sanitari alla giovane, hanno escluso per via di tale circostanza la possibilità di diagnosticare l’embolia». Sintomi che, invece, «erano palesi e imminenti ed erano stati posti all’attenzione dei medici odierni indagati». Ragion per cui, adesso, bisogna ricostruire «attraverso la perizia oggetto di richiesta, con il maggior rigore scientifico possibile e alla luce di tutti gli elementi, la possibilità di diagnosi dell’embolia polmonare alle condizioni date e la correttezza delle condotte dei singoli indagati»; si legge nel provvedimento firmato da Costa. Il quale si sofferma, poi, sulla «particolarità» di un presidio ospedaliero «nel quale sia stato consentito (e sembra dagli atti che non si trattasse di un caso isolato) ad un paramedico di passaggio di stabilire l’irrilevanza di un’accusata patologia, da lui ritenuta “a spanne” non valutabile» nella struttura «per asserita modesta rilevanza».
L’incidente probatorio dovrà quindi stabilire, tra le altre cose, se, «nel caso fosse avvenuto l’accesso della ragazza al Pronto soccorso, con eventuale ricovero o con sottoposizione ad accertamenti, l’evento mortale avrebbe potuto esser evitato».

Come rileva Costa, «maggiori attenzioni e verifiche andavano svolte nel valutare la spossatezza e le difficoltà respiratorie accusate dalla ragazza in un arco di tempo di più e più giorni». Ma tali sintomi «sono stati non considerati o sminuiti i sede anamnestica da tutti i sanitari, con la sola eccezione del dottor Pietro Iannello». Riannodando i fili delle criticità e delle sofferenze della sanità eoliana, il sostituto pg scrive che il ministero della Salute, a seguito degli accertamenti disposti dopo la morte di Lorenza Famularo, evidenziò una serie di criticità e fece riferimento alle misure di miglioramento da adottare, al contrario, quella nota «non ha avuto riscontro amministrativo alcuno né formale né operativo, tanto a livello regionale quanto a livello provinciale».

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