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Alluvione di Giampilieri e Scaletta, sono passati 14 anni: non vi abbiamo dimenticato

Oggi il ricordo delle vittime di Giampilieri e degli altri borghi: 36 più il corpo senza nome

Monica Balascuta, Carmela Maria Barbera, Santi Bellomo, Carmela Cacciola, Giuseppa Calogero, Concetta Cannistraci, Roberto Carullo, Luigi Costa, Ketty De Francesco, Elena De Luca, Francesco De Luca, Ilaria De Luca, Agnese Falgetano, Letterio Laganà, Maria Li Causi, Francesco Lonia, Lorenzo Lonia, Teresa Macina, Leo Maugeri, Christian Maugeri, Letterio Maugeri, Francesca Micali, Simone Neri, Carmela Olivieri, Katia Panarello, Santina Porcino, Maria Restuccia, Carmelo Ricciardello, Martino Scibilia, Bartolo Sciliberto, Maria Letizia Scionti, Salvatore Scionti, Alessandro Sturiale, Onofrio Sturiale, Giuseppe Tonante, Salvatore Zagami.
Ogni promessa è debito. Interpretando il sentimento dei messinesi, la “Gazzetta” aveva assunto un impegno con la gente di Giampilieri e di Scaletta, di Briga, di Altolia, di Molino e Santa Margherita, e di tutti gli altri villaggi colpiti dall’alluvione dell’1 ottobre 2009: «Non vi dimenticheremo». E ora che sono trascorsi 14 anni dalla tragedia, il ricordo di quei 36 nomi, 36 storie, 36 piccoli, anziani, donne, uomini coraggiosi, è tutt’altro che spento.
E lasciateci ricordare anche la trentasettesima vittima, quella “non identificata”, che nessuno ha mai saputo chi fosse, come un “milite ignoto”. Veniva dall’estero? Non lo sapremo mai. Aveva famiglia? Figli? Ci piace pensare che proprio quel corpo senza nome sia, invece, la somma di tutti gli altri 36 nomi, di tutto il dolore, di tutta la solidarietà, di tutte le speranze. Ci piace immaginarla come una luce che indica la strada per il futuro, come un segno d’amore che nessuna colata di fango potrà mai cancellare. Lo stesso amore che ha animato, e anima, le comunità di quei villaggi, la loro voglia di ricostruzione.
Quattordici anni dopo si torna a pregare davanti alla lapide che, all’inizio di Giampilieri Superiore, rievoca nomi e cognomi di chi venne portato via dal “fiume” assassino. Oggi le messe, nelle chiese di tutti i piccoli borghi della vallata, saranno dedicate ai 37 morti e ai loro cari, al dolore di chi è sopravvissuto. Ed è inevitabile che la mente torni a quei momenti. Era stata una mattinata di sole e di bagni in un mare insolitamente caldo, quel primo ottobre del 2009. Le previsioni parlavano di un peggioramento del tempo nel pomeriggio, ma nessuno avrebbe mai potuto presagire quello che sarebbe accaduto. Solo quando il cielo della zona sud (mentre nel resto della città continuava a splendere il sole) si fece, all’improvviso, scuro, di un nero che da queste parti non si vedeva da tempo immemorabile, di un nero che via via veniva illuminato da una tempesta di fulmini sempre più frequenti, sempre più minacciosi, la gente cominciò ad avere paura. Poi, quella che tutti abbiamo definito la più violenta “bomba d’acqua” mai verificatisi a Messina, perché concentrata tutta in un fazzoletto di territorio e perché autoalimentata di continuo dal calore delle acque del mare. C’era stato un fortissimo campanello d’allarme, a Giampilieri, qualche anno prima, ma in un’altra zona del versante collinare. E invece la montagna, incombente su piazza Pozzo, il cuore del villaggio, cominciò a vomitare di tutto, acqua, fango, detriti. E fu catastrofe. Nelle stesse ore il torrente impazzito correva furiosamente verso il mare, a Scaletta Zanclea, travolgendo ogni caso, anche quegli edifici costruiti nell’alveo della fiumara.
Non ci interessa più ricordare le polemiche di quelle tristissime giornate, anche se in molti non abbiamo mai più dimenticato l’assurda copertura mediatica del tragico evento da parte dei principali organi di stampa e televisioni, che definirono l’alluvione di Giampilieri e Scaletta come una sorta di “maledizione” abbattutasi su terre di abusivismo e illegalità. Oggi quello che conta è la vita delle persone che ancora risiedono in questi villaggi, di chi non se ne è voluto mai andare. Contano le opere realizzate e gli interventi di prevenzione, che riguardano questa zona, come tutte le altre del nostro territorio. Conta la condivisione del dolore (ferite come questa non si rimarginano mai più) e del futuro. Per quei 36 nomi e cognomi, per quelle 36 vite stroncate. E per quella trentasettesima, la storia che le riassume tutte, il corpo senza nome, oggi luce di rinascita.

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