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Il dibattito sulle piste ciclabili e sui cordoli: che città vogliamo che sia Messina?

Piste ciclabili, cordoli, posteggi che mancano e tanti nuovi parcheggi. L’argomento più diffuso a Messina ruota attorno ai temi della mobilità urbana. In questo momento, le scelte compiute dall’Amministrazione comunale, frutto di una visione strategica elaborata nel corso degli anni (dai tempi della Giunta Accorinti) e sfociata nel Piano generale del traffico urbano votato all’unanimità dal Consiglio, appaiono molto impopolari.

Prendiamo i cordoli gialli della discordia. È stato scritto e detto molto su di loro. Sono necessari? Sono pericolosi? Sono un intralcio inutile alla circolazione? Sono l’unico deterrente possibile? Su argomenti del genere non ci sarà mai una piena condivisione. In teoria, tutti vorrebbero una città più vivibile, guai però se poi i provvedimenti per innalzare i livelli di qualità della vita (e quindi meno auto private in centro, più mezzi pubblici, più isole pedonali, più piste ciclabili) creano disagi alle nostre abitudini. Si scatena l’inferno.
Quei cordoli non sono esteticamente belli, inutile girarci intorno. Ce sono di varie tipologie, quella utilizzata a Messina la si ritrova anche in tante altre città italiane, da Milano a Roma, da Gallarate a Molfetta, dalla Puglia al Piemonte. Quale è la loro funzione? È quella di demarcare le corsie riservate ed è una funzione che, nei Piani del traffico, è considerata indispensabile per assicurare maggiore sicurezza delle strade. Il cordolo installato in queste settimane ha un nome, “H10”, ed è realizzato con gomma vulcanizzata a elevata elasticità, che dovrebbe resistere agli urti dei veicoli. Possiede le dimensioni 30x100xh10 (in centimetri) ed è omologato dal Ministero per il suolo pubblico. Molte altre città, invece, hanno deciso di non affidare ai cordoli la delimitazione delle aree che, dunque, restano protette solo dalle apposite strisce. Ma, al di là della questione cordoli sì cordoli no, è interessante riprendere un significativo decalogo che venne pubblicato poco prima della pandemia dal sito specializzato “BikeItalia.it”, con il titolo “Realizzare la Città delle Biciclette: ecco i 10 errori da evitare”. È interessante perché sottolinea l’importanza di rendere le nostre città sempre più a misura d’uomo, di donna e di bambini, di pedoni e di biciclette, ma nello stesso tempo mette in guardia da quei pericoli che sono in agguato anche qui, a Messina, se le opere non vengono realizzate nel miglior modo possibile. Emblematica la premessa di quel decalogo: «Non esiste comune il cui sindaco non dica di voler amministrare una città amica della bicicletta per ridurre il traffico e l’inquinamento atmosferico e per farlo taglia nastri e inaugura spezzoni di ciclabili che continuano ad aumentare il chilometraggio complessivo, ma che poi non vengono usate. Questa situazione si verifica perché chi è chiamato a progettare indulge in uno o più di questi errori». Ed eccoli i «dieci errori da evitare».
1) Il ciclopedonalismo «Mischiare pedoni e ciclisti non è mai una buona idea, soprattutto in ambito urbano: le biciclette viaggiano a una velocità 4 volte superiori ai pedoni e sono silenziose, questo genera paura tra i pedoni. Il ciclista è pertanto costretto a ridurre la propria velocità e i pedoni si lamentano dei ciclisti che sono giustamente ospiti sgraditi». Lo sperimentiamo giornalmente nella pista ciclabile lungo la riviera nord. Il corollario: «Lo spazio per le biciclette non si ricava sottraendo spazio ai pedoni, ma sottraendo spazio alle automobili». E questo è un processo culturale che continua a suscitare le reazioni di chi all’auto non rinuncerebbe mai, perché la considera una limitazione al proprio diritto alla mobilità.
2) Il separazionismo «È diffusa la convinzione tra i non addetti ai lavori che se non c’è un muro che separi il flusso delle macchine da quelle delle bici, non si possa usare la bicicletta in sicurezza. Risultato, dove non c’è spazio per separare i flussi si preferisce ignorare la questione e lasciare le cose come stanno o, in alternativa, realizzare le ciclabili sui marciapiedi scontentando tutti». Il corollario è che «ogni strada ha bisogno di un tipo differente di intervento» ma «non esiste una ricetta che vada bene per tutte le situazioni», come stiamo verificando nella nostra città.
3) L’antincrocismo «Si vedono sempre più spesso piste ciclabili che fanno egregiamente il proprio lavoro nei tratti di rettilineo, ma che si smaterializzano come per magia prima delle intersezioni lasciando chi pedala in balia di se stesso e dei mezzi motorizzati».
4) Il door-zoneismo «La mancanza di attenzione ed esperienza porta i progettisti a inventarsi delle soluzioni che al primo sguardo sembra che garantiscono la sicurezza, ma che invece si rivelano essere delle trappole mortali. È il caso delle ciclabili ricavate tra le auto in sosta e il marciapiede: funzionano fintanto che qualcuno non apra una portiera senza guardare dallo specchietto...».
5) Il residualismo «Gli itinerari ciclabili non devono mettere in connessione due punti a caso della città, ma i principali attrattori: scuole, stazioni, centri commerciali, uffici, zone residenziali». Altrimenti è perfettamente inutile allo scopo della trasformazione della città in un luogo più vivibile e inclusivo.
6) Lo scolapiattismo «Dopo la paura per la propria incolumità, il secondo motivo per cui le persone non usano la bicicletta è per paura che gliela rubino. Disseminare la città di parcheggi bici che sembrano scolapiatti giganti a cui si può assicurare solo la ruota e non il telaio è un regalo ai ladri di bici».
7) Il definitivismo «Spesso il processo di progettazione viene vissuto come il momento della verità da cui non si può tornare indietro. Il risultato è che se poi la soluzione approvata non funziona, viene abbandonata a sé stessa o viene rivista con notevole impegno di denaro pubblico». La Giunta Basile ha parlato di soluzioni sperimentali in corso e si è detta pronta, dopo le verifiche sul campo, ad apportare eventuali modifiche e aggiustamenti. Bene così.
8) L’isolazionismo «La bicicletta, come ogni altro mezzo di trasporto, funziona solo se può muoversi lungo una rete di percorsi e può relazionarsi con gli altri mezzi di trasporto consentendo al cittadino di utilizzare al meglio il giusto mix di mezzi di trasporto. Insomma, serve un “Biciplan” (che è stato reso obbligatorio dalla Legge 2/2018)».
9) L’autoritarismo «A nessuno piacciono le decisioni imposte perché ledono il nostro libero arbitrio. Prima di prendere delle decisioni che possono sconvolgere la vita e le abitudini dei cittadini occorre un confronto aperto preliminare per spiegare il beneficio che avrà la cittadinanza a fronte del cambiamento. Questo confronto serve a validare l’idea e a costruire un fronte di sostenitori del progetto da opporre alla minoranza rumorosa che è sempre contraria a tutto, spesso per questioni ideologiche e non di merito». Ecco, questo è uno dei punti principali e che ci toccano di più in questo momento. La minoranza rumorosa è la maggioranza dei cittadini? Quanti sono i cittadini sostenitori del progetto delle piste ciclabili? Sono interrogativi di un dibattito democratico, anche se poi va sempre tenuto conto che un’Amministrazione liberamente eletta ha il diritto-dovere di attuare il proprio programma votato dagli elettori.
10) Il non comunicazionismo «Se quello che vuole la pubblica Amministrazione è un cambiamento delle abitudini di trasporto della popolazione, allora dovrà inventarsi dei modi per stimolarlo. Se non si creano le occasioni per pedalare, nessuno saprà mai cosa si perde e sarà disposto al cambiamento. Servono eventi e attività di “gamification” per avvicinare i cittadini alla visione di una città diversa: la città di Monaco si è data come regola che il 25% di tutti gli investimenti per la ciclabilità devono essere destinati alla comunicazione alla popolazione. E la cosa, ovviamente, funziona». E questo è l’altro punto essenziale. Ci si sta chiedendo in queste settimane “ma quanti sono i ciclisti a Messina”? La domanda, in realtà, non è corretta. Quanti potrebbero essere invogliati a utilizzare la bici, se davvero si espandesse la cultura del “meno auto in centro”? È questa la madre di tutte le domande. Bravo chi ha la risposta definitiva. E bravi, soprattutto, chi con senso civico contribuisce a migliorare la città e chi, con umiltà, capisce quando è il caso di compiere correzioni di marcia, ove siano necessarie.

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